Da La Repubblica del 16/07/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/d/sezioni/politica/immicoatta/tolleranza...

IL COMMENTO

Quando si cavalca la tolleranza zero

di Miriam Mafai

ANCORA una volta la Corte ammonisce con una sua sentenza, il legislatore: nessuna maggioranza per quanto larga e per quanto democraticamente acquisita può assumere decisioni e approvare norme che entrino in conflitto con la Costituzione. Esistono limiti anche ai poteri delle maggioranze. Si tratta di un principio essenziale di ogni ordinamento democratico, condizione necessaria per una civile convivenza in un paese nel quale le maggioranze possono cambiare ( ed è bene che cambino) e possono e debbono legiferare secondo i propri convincimenti e in attuazione dei propri programmi.

Con un solo limite che è dato dal rispetto di quelle norme costituzionali che restano valide per tutti quali che siano le maggioranze uscite da una competizione elettorale. Il Parlamento non può tutto, una maggioranza per quanto ampia, non può tutto.

Per questo esiste, in caso di controversia o di incertezza, un controllo di costituzionalità delle leggi affidato ai giudici della Corte.

Anche il condono edilizio voluto dal governo Berlusconi è caduto, per iniziative delle Regioni sotto il controllo di legittimità della Corte. E questa ne ha dichiarato la illegittimità, per alcune norme evidentemente in contrasto con i poteri delle Regioni. Ieri una nuova decisione che ha avuto subito forte impatto sulle forze politiche e sulla pubblica opinione.

La Corte infatti ha bocciato, dichiarandole incostituzionali, alcune norme della legge Bossi Fini che, incurante delle severe critiche del centrosinistra, la maggioranza aveva voluto a tutti i costi approvare. Ne andava della credibilità della Lega e di tutta la Casa delle Libertà. Si tratta di due norme, particolarmente dure, nelle quali si configura o meglio avrebbe dovuto configurarsi quella che veniva declamata come "tolleranza zero": la prima prevede che il clandestino possa essere espulso dal nostro Paese con un provvedimento del questore, assunto senza contraddittorio e senza le necessarie garanzie della difesa; la seconda prevede l'arresto del clandestino quando lo stesso venga identificato e riconosciuto come colpevole di non aver rispettato l'ordine di allontanamento dall'Italia entro cinque giorni emesso dal questore.

Si trattava, e si tratta, tra l'altro di norme difficilmente applicabili e, infatti, non applicate. Nessun magistrato infatti in questi mesi ha potuto mandare in galera chi fosse stato trovato ancora in Italia nonostante l'ordine di allontanamento del questore. Secondo il nostro Codice infatti il fermato non ha commesso un delitto ma una contravvenzione, e il nostro codice non prevede la detenzione in carcere per una contravvenzione.

I dati raccolti in alcune delle nostre maggiori città testimoniano di questo fallimento della legge: a Milano da quando è entrata in vigore la Bossi-Fini sono stati arrestati più di 2.000 stranieri che, nonostante l'espulsione decretata dalla questura si trovavano ancora sul territorio nazionale. Ma solo quindici di questi, colpevoli di altri reati, sono stati trattenuti in prigione. E a Torino, nell'ultimo trimestre dello scorso anno, i fermati sono stati 311, ma nessuno è stato arrestato.

Non per cattiva volontà dei carabinieri, delle forze di polizia o dei giudici, ma perché quelle norme erano, in realtà inapplicabili. E i tribunali di Roma, di Firenze, di Torino e di Milano avevano espresso su quelle norme forti dubbi di legittimità.

La sentenza di ieri della Corte convalida questi dubbi. Si tratta di norme che entrano effettivamente in contrasto almeno con gli articoli 3 e 13 della Costituzione. Sono dunque inapplicabili e andranno riviste. Restano invece in vigore, le altre norme della legge Bossi-Fini che, per quanto criticabili, non sono passibili di giudizio di incostituzionalità.

La maggioranza che ha ignorato, nel corso del dibattito parlamentare, tutti gli ammonimenti e le osservazioni critiche del centrosinistra, e che ha voluto a tutti i costi quelle norme per dare una risposta alle spinte ed agli umori più beceri e violentemente anti-immigrati espressi dalla Lega dovrà ora correre ai ripari. La demagogia non paga, o, per lo meno, non sempre paga. Il ministro Pisanu ha già annunciato un decreto a correzione delle norme dichiarate incostituzionali. Valuteremo quel decreto quando ne avremo letto il testo.

Suonano invece un po' grottesche alcune dichiarazioni di esponenti della Lega che, evidentemente innervositi dall'andamento della crisi in atto e dalla sensazione di una perdita di credibilità di fronte ai loro elettori e di peso politico all'interno della maggioranza, hanno voluto alzare il tono della polemica.

La sentenza della Corte è stata quindi definita "assurda", "ideologica", "contraria agli interessi del paese", e, per finire, "un tentativo di vanificare la volontà di un Parlamento eletto dai cittadini". Il leghista Roberto Calderoli, attuale vicepresidente del Senato, sembra voler annunciare così una vera e propria battaglia politica e legislativa per piegare i giudici della Corte alla volontà della maggioranza. Staremo a vedere.

Ma l'idea che la Corte debba piegarsi alla volontà del Parlamento, anche quando questo legiferi in conrtrasto con i principi della nostra Costituzione è una idea che potrà forse trovare consensi nella ipotetica Padania, non certo nella nostra Repubblica.

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