Da Corriere della Sera del 15/07/2004
La gran serata di Harry Potter che non andrà più a Strasburgo
Bonaiuti e Fini in processione al banco del segretario udc che rifiuta richiami alla disciplina e accuse di congiure e non applaude Berlusconi
di Maria Latella
ROMA - I riflettori della diretta tv proiettano una luce da set cinematografico. E’ tutta per i banchi dell’Udc. I deputati che erano andati a spettegolare in Transatlantico rientrano, torna anche Cesare Previti e rimane in piedi, non lontano dal banco dei ministri. Sta per parlare il presidente del Consiglio? No, sta per parlare Marco Follini. L’attesa, i riflettori, le speranze e le tensioni son concentrati su Harry Potter, stavolta, in questo pomeriggio di metà luglio, a Montecitorio. Perfino Alejandro Agag, in Spagna noto come genero di Aznar e in Spagna come grande amico del presidente della Camera Casini, perfino Agag, insomma, a cena in un ristorante romano, l’altra sera, diceva la sua su Follini. La teoria di Agag è che «il partito sta con Pier Ferdinando», ma si sa, gli amici son amici e Casini è stato pure suo testimone di nozze. Come Berlusconi, del resto. Non a caso, volando da Londra a Roma nello stesso giorno in cui il centrista Lorenzo Cesa diventava vicepresidente del Ppe, Agag è passato a trovare tutti e due, sia Casini che Berlusconi.
Seduto accanto al palermitano Silvio Liotta, Marco Follini riceve una vasta serie di attenzioni, palesemente interessate. Sale Paolo Bonaiuti, si appoggia al banco, col linguaggio del corpo si spinge ben oltre la semplice testimonianza, appoggia infatti una mano sul braccio dell’impassibile. Follini sorride guardando dritto davanti a sé, come se uno speciale torcicollo gli impedisse di girarsi più di tanto. Sale un abbronzato Gianfranco Fini, ha in mano un paio di fogli che poi si riveleranno essere un editoriale per il Secolo d’Italia . Glielo recapita praticamente a domicilio, il suo articolo, e Follini educatamente lo riceve. Trattandosi del leader di An, col quale formavano un compatto sodalizio fino a due giorni fa, il colloquio è lievemente più sciolto. Sale il sottosegretario agli Esteri Mario Baccini, romano: fino a qualche giorno fa era soltanto «il laziale sottosegretario Baccini», di recente gli aggiungono l’aggettivo «potente», perciò adesso è «il potente sottosegretario Baccini». A un certo punto, attorno a Follini è quasi ressa.
Adesso parla Berlusconi, vanno tutti a sedere e il segretario dell’Udc può finalmente tornare al suo proprio discorso, scritto a mano, su tanti ordinati foglietti. In questo, col Cavaliere si somigliano: tutti e due stanno lì a limare, fino all’ultimo. «Stabilità e bipolarismo camminano assieme», annuncia intanto il presidente del Consiglio, segnalando che per la legge proporzionale si vedrà. Calorosi applausi dai banchi del centrodestra, pure dai banchi dell’Udc, ma i polsini della camicia a sottili righine rosse rimangono inesorabilmente incollati al banco: nessun applauso da parte di Follini. E neppure da parte di Tabacci. Berlusconi adesso fa il democristiano purissimo, s’è infilato in un discorso in cui, pur di dispensare serenità, cita pure la «termovalorizzazione». Follini lima.
Circa quaranta minuti dopo, tocca a lui. Nell’Aula, il silenzio che accoglie gli interventi dai quali ci si aspetta qualcosa. Berlusconi fa per allacciarsi il doppiopetto, ma è già allacciato. Anche lui guarda davanti a sé, forse sa già che il discorso del segretario dell’Udc non è scritto per restituirgli il sorriso. Comincia infatti così: «In politica non servono né il richiamo alla disciplina né le ipotesi di congiure. Tanto più se le congiure non ci sono». Prosegue con la deduzione che la «caricatura di noi dell’Udc intenti alle trame serve solo a eludere i problemi». Promette di mantenersi tenace e scandisce: «La leadership si esprime per la misura, non per il suo titanismo». La conclusione è, come dicono i cronisti politici, uno spiraglio: «Se partiremo da qui, forse si apre un percorso. Se no diventa tutto più difficile».
Il percorso, già. Mentre Follini torna a sedersi, Berlusconi fa la faccia di chi non è rimasto contento. Di certo c’è solo che il segretario dell’Udc non andrà più a Strasburgo, non opterà più per il seggio da europarlamentare. «In questo momento sembrerebbe una fuga» ha detto ai suoi. Per qualcuno, è anche la conferma che, al più tardi venerdì, dopo il consiglio nazionale dell’Udc, Follini renderà noto il suo ingresso al governo. Dipenderà da Berlusconi, dalle parole e dai fatti con i quali saprà garantirgli una presenza non decorativa. Passare dall’asse Lega-Tremonti al trionfo del sub-governo, con Fini ministro e Follini in due ministeri importanti, non è un salto facile neppure per il Cavaliere. Ma l’uomo agli altri lo ricorda sempre: bisogna saper trasformare gli svantaggi in opportunità.
Seduto accanto al palermitano Silvio Liotta, Marco Follini riceve una vasta serie di attenzioni, palesemente interessate. Sale Paolo Bonaiuti, si appoggia al banco, col linguaggio del corpo si spinge ben oltre la semplice testimonianza, appoggia infatti una mano sul braccio dell’impassibile. Follini sorride guardando dritto davanti a sé, come se uno speciale torcicollo gli impedisse di girarsi più di tanto. Sale un abbronzato Gianfranco Fini, ha in mano un paio di fogli che poi si riveleranno essere un editoriale per il Secolo d’Italia . Glielo recapita praticamente a domicilio, il suo articolo, e Follini educatamente lo riceve. Trattandosi del leader di An, col quale formavano un compatto sodalizio fino a due giorni fa, il colloquio è lievemente più sciolto. Sale il sottosegretario agli Esteri Mario Baccini, romano: fino a qualche giorno fa era soltanto «il laziale sottosegretario Baccini», di recente gli aggiungono l’aggettivo «potente», perciò adesso è «il potente sottosegretario Baccini». A un certo punto, attorno a Follini è quasi ressa.
Adesso parla Berlusconi, vanno tutti a sedere e il segretario dell’Udc può finalmente tornare al suo proprio discorso, scritto a mano, su tanti ordinati foglietti. In questo, col Cavaliere si somigliano: tutti e due stanno lì a limare, fino all’ultimo. «Stabilità e bipolarismo camminano assieme», annuncia intanto il presidente del Consiglio, segnalando che per la legge proporzionale si vedrà. Calorosi applausi dai banchi del centrodestra, pure dai banchi dell’Udc, ma i polsini della camicia a sottili righine rosse rimangono inesorabilmente incollati al banco: nessun applauso da parte di Follini. E neppure da parte di Tabacci. Berlusconi adesso fa il democristiano purissimo, s’è infilato in un discorso in cui, pur di dispensare serenità, cita pure la «termovalorizzazione». Follini lima.
Circa quaranta minuti dopo, tocca a lui. Nell’Aula, il silenzio che accoglie gli interventi dai quali ci si aspetta qualcosa. Berlusconi fa per allacciarsi il doppiopetto, ma è già allacciato. Anche lui guarda davanti a sé, forse sa già che il discorso del segretario dell’Udc non è scritto per restituirgli il sorriso. Comincia infatti così: «In politica non servono né il richiamo alla disciplina né le ipotesi di congiure. Tanto più se le congiure non ci sono». Prosegue con la deduzione che la «caricatura di noi dell’Udc intenti alle trame serve solo a eludere i problemi». Promette di mantenersi tenace e scandisce: «La leadership si esprime per la misura, non per il suo titanismo». La conclusione è, come dicono i cronisti politici, uno spiraglio: «Se partiremo da qui, forse si apre un percorso. Se no diventa tutto più difficile».
Il percorso, già. Mentre Follini torna a sedersi, Berlusconi fa la faccia di chi non è rimasto contento. Di certo c’è solo che il segretario dell’Udc non andrà più a Strasburgo, non opterà più per il seggio da europarlamentare. «In questo momento sembrerebbe una fuga» ha detto ai suoi. Per qualcuno, è anche la conferma che, al più tardi venerdì, dopo il consiglio nazionale dell’Udc, Follini renderà noto il suo ingresso al governo. Dipenderà da Berlusconi, dalle parole e dai fatti con i quali saprà garantirgli una presenza non decorativa. Passare dall’asse Lega-Tremonti al trionfo del sub-governo, con Fini ministro e Follini in due ministeri importanti, non è un salto facile neppure per il Cavaliere. Ma l’uomo agli altri lo ricorda sempre: bisogna saper trasformare gli svantaggi in opportunità.
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