Da La Repubblica del 12/07/2004
Il partito democratico conquista la maggioranza alla Camera alta. Sul risultato pesano l´invio dei soldati in Iraq e le mancate riforme
Tokyo, punito il partito del premier
Koizumi sconfitto al voto per il Senato: "Ma non mi dimetto"
La missione dei militari è stata vista come uno strappo alla Costituzione
di Giampaolo Cadalanu
LA guerra e le pensioni: offesi nel tabù più grande della storia, toccati pesantemente nel portafoglio, i giapponesi hanno mandato un segnale forte ieri a Junichiro Koizumi, carismatico e individualista primo ministro. Le elezioni per il rinnovo di metà Senato erano quasi un referendum su di lui, sull´intervento in Iraq, sulla realizzazione delle riforme, e il risultato è stato netto. In serata le proiezioni deludevano anche le aspettative prudentissime della vigilia: al partito liberaldemocratico del premier andavano appena 49 seggi sui 121 che erano in ballo, due in meno dell´obiettivo dichiarato, già modesto in partenza.
Per Koizumi è uno scrollone, ma non una spinta decisiva. «Resterò al governo», ha detto, «non vedo problemi, se i partiti della coalizione hanno ancora la maggioranza». E le cifre glielo permettono: alla fine, l´alleanza del suo Ldp con i buddisti del Komeito dovrebbe attestarsi su 139 seggi, sui 242 del Senato, e continua a godere di una maggioranza robusta nella Camera bassa. Ma oltre a bocciare Koizumi, i risultati di ieri premiano il partito democratico, che conquista 50 senatori. Un risultato che permette al Djp del poco carismatico ma stimato Katsuya Okada di proporsi come forza trainante dell´opposizione in un sistema sempre più bipolare.
Insomma, il governo regge ma la sua politica non piace. Non convince più la proclamata "voglia di nuovo" che ha strappato Koizumi al grigiore dell´establishment, portandolo a guidare il paese, ma poi non si è tradotta nella realtà. Privatizzazioni, riforma delle pensioni, modifiche radicali al sistema bancario, rivoluzione in politica estera: le promesse dell´"uomo nuovo", che voleva scuotere il paese e svecchiare il partito, adesso sono quasi "capi d´accusa" contro il premier. E la pacata e tradizionalissima società giapponese sembra dare i primi segni di rigetto per il suo stile fiammeggiante e non convenzionale.
Le privatizzazioni sono ben lontane dall´essere compiute, la riforma bancaria ha portato risultati contraddittori. La nuova legge sulle pensioni ha imposto sacrifici, senza risolvere le difficoltà del sistema. Il punto è che i giapponesi sono sempre più anziani, e vivono a lungo, pesando sulle casse statali, mentre la natalità è ridottissima.
Ma lo snodo centrale, su cui anche i democratici hanno dato battaglia in campagna elettorale, è probabilmente la nuova linea dell´orgoglio militare, culminata con l´invio - sia pure condizionato da regole d´ingaggio paralizzanti - dei 550 militari a Samawah, in Iraq, vissuto come un oltraggio alla Costituzione. L´articolo 9 lo diceva chiaramente: in cambio di una pace «basata su ordine e giustizia, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra (...) e alla minaccia di usare la forza per risolvere controversie internazionali». "E´ una nazione adulta?", si chiedeva nei giorni scorsi il Financial Times, sottolineando che ormai una buona fetta della popolazione sembra disponibile ad accettare un nuovo ruolo internazionale per il paese. Per molti la carta fondamentale è solo un documento fuori dal tempo, imposto dal generale Mc Arthur alla firma dell´imperatore ma inattuale davanti alle esigenze del mondo globalizzato.
Inattuale anche davanti alla tecnologia della Corea del nord, che nel ?93 ha sperimentato un missile Nodong-1 facendolo cadere al largo del Giappone, spaventando Tokyo e spingendola a varare un piano di difesa accelerato e a lanciare allo stesso tempo una diplomazia di maggiore apertura con Pyongyang. Il Giappone è una delle quattro nazioni che più spendono in armamenti, ma l´idea di trasformare il gigante economico in potenza militare è ancora tabù. Per gelare chi vuole un riarmo vero, basta pronunciare due parole: Hiroshima e Nagasaki.
Per Koizumi è uno scrollone, ma non una spinta decisiva. «Resterò al governo», ha detto, «non vedo problemi, se i partiti della coalizione hanno ancora la maggioranza». E le cifre glielo permettono: alla fine, l´alleanza del suo Ldp con i buddisti del Komeito dovrebbe attestarsi su 139 seggi, sui 242 del Senato, e continua a godere di una maggioranza robusta nella Camera bassa. Ma oltre a bocciare Koizumi, i risultati di ieri premiano il partito democratico, che conquista 50 senatori. Un risultato che permette al Djp del poco carismatico ma stimato Katsuya Okada di proporsi come forza trainante dell´opposizione in un sistema sempre più bipolare.
Insomma, il governo regge ma la sua politica non piace. Non convince più la proclamata "voglia di nuovo" che ha strappato Koizumi al grigiore dell´establishment, portandolo a guidare il paese, ma poi non si è tradotta nella realtà. Privatizzazioni, riforma delle pensioni, modifiche radicali al sistema bancario, rivoluzione in politica estera: le promesse dell´"uomo nuovo", che voleva scuotere il paese e svecchiare il partito, adesso sono quasi "capi d´accusa" contro il premier. E la pacata e tradizionalissima società giapponese sembra dare i primi segni di rigetto per il suo stile fiammeggiante e non convenzionale.
Le privatizzazioni sono ben lontane dall´essere compiute, la riforma bancaria ha portato risultati contraddittori. La nuova legge sulle pensioni ha imposto sacrifici, senza risolvere le difficoltà del sistema. Il punto è che i giapponesi sono sempre più anziani, e vivono a lungo, pesando sulle casse statali, mentre la natalità è ridottissima.
Ma lo snodo centrale, su cui anche i democratici hanno dato battaglia in campagna elettorale, è probabilmente la nuova linea dell´orgoglio militare, culminata con l´invio - sia pure condizionato da regole d´ingaggio paralizzanti - dei 550 militari a Samawah, in Iraq, vissuto come un oltraggio alla Costituzione. L´articolo 9 lo diceva chiaramente: in cambio di una pace «basata su ordine e giustizia, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra (...) e alla minaccia di usare la forza per risolvere controversie internazionali». "E´ una nazione adulta?", si chiedeva nei giorni scorsi il Financial Times, sottolineando che ormai una buona fetta della popolazione sembra disponibile ad accettare un nuovo ruolo internazionale per il paese. Per molti la carta fondamentale è solo un documento fuori dal tempo, imposto dal generale Mc Arthur alla firma dell´imperatore ma inattuale davanti alle esigenze del mondo globalizzato.
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