Da Corriere della Sera del 07/07/2004
STRATEGIA
E la Casa Bianca teme che il «nuovo Clinton» possa affossare Cheney
di Ennio Caretto
WASHINGTON - John Kerry ieri lo ha presentato come il campione della classe media, l’uomo con cui costruirà «una sola America» superandone le profonde divisioni. Ma John Edwards è qualcosa in più del custode dei valori americani - libertà, eguaglianza, giustizia - descritto dal candidato democratico alla presidenza. È l’anti Cheney, il politico che, con la forza della sua personalità, potrebbe mettere a nudo le pecche del vicepresidente, pecche che preoccupano anche molti repubblicani. Cavallerescamente, ieri, Cheney l’ha chiamato per complimentarsi, anche se proprio Edwards potrebbe affossare la coppia repubblicana.
La sua nomina è un campanello d’allarme per la Casa Bianca (si dice che Karl Rove, il guru elettorale di Bush, avrebbe preferito chiunque altro al fianco di Kerry), per la destra storica e per i neoconservatori. A 50 anni, in un Paese preoccupato a causa dell’Iraq e delle paure per l’economia, Edwards è la voce della speranza. Il suo calore umano, la sua eloquenza, il suo talento comunicativo richiamano a un tempo i presidenti John Kennedy e Bill Clinton. Sul piano dell’immagine, nemmeno Bush, che fa perno sul patriottismo, può reggere il confronto.
«La scelta di Edwards - rileva il politologo Larry Sabato - non significa solo che Kerry non intende cedere a priori a Bush il profondo Sud, un feudo conservatore, e che perciò combatterà di Stato in Stato. Contrapponendo Edwards a Cheney, il candidato democratico evidenzia anche l’enorme differenza esistente tra il suo "ticket elettorale" e quello del presidente». Edwards, ricorda Sabato, è il vero volto nuovo del 2004, solare e ottimista, un leader carismatico: «È relativamente giovane, un brillante avvocato che, se necessario, non esita mai ad attaccare i grandi interessi finanziari e industriali, ha un forte impegno sociale. Non è difficile per l’uomo della strada identificarsi in lui, vedervi l’esponente di un futuro migliore». Di fronte a Edwards, aggiunge il politologo, Dick Cheney con i suoi 15 anni in più, una visione tetra del mondo, l’ossessione della segretezza e gli ambigui legami con la Halliburton, una delle aziende più discusse degli Stati Uniti, costituisce in un certo senso il passato: «Ha molta esperienza, ma non è una persona che suscita entusiasmi».
Lo storico della presidenza Stephen Hess è d’accordo. Nota che l’indice di popolarità del vicepresidente è tra i più bassi della storia, il 22%: Kerry, commenta, punta su Edwards «per fare emergere in Cheney ciò che agli americani piace meno di Bush, l’ostinazione e l’arroganza». Ma secondo Hess la nomina del senatore della Carolina del Nord è indicativa altresì della strategia elettorale di Kerry. «L’anno scorso Kerry si propose all’America come il nuovo Kennedy» osserva. «Ma Edwards è un altro Clinton, ne condivide le idee». Con lui al fianco, sostiene lo storico, «Kerry cercherà di conquistare il centro, modellerà la sua campagna su quella clintoniana contro Bush padre nel ’92». Kerry, un eroe della guerra del Vietnam, si concentrerà sulla politica estera e militare, e sarà compito di Edwards seguire la linea moderata di Clinton in politica interna, dall’economia, a diritti civili, alla sanità e così via. Lo aiuteranno molti «amici di Bill», come furono chiamati i clintoniani del miracolo economico e del Welfare. Il loro sogno è di ripetere l’impresa del ’92: di confinare a un solo mandato anche il secondo Bush.
La sua nomina è un campanello d’allarme per la Casa Bianca (si dice che Karl Rove, il guru elettorale di Bush, avrebbe preferito chiunque altro al fianco di Kerry), per la destra storica e per i neoconservatori. A 50 anni, in un Paese preoccupato a causa dell’Iraq e delle paure per l’economia, Edwards è la voce della speranza. Il suo calore umano, la sua eloquenza, il suo talento comunicativo richiamano a un tempo i presidenti John Kennedy e Bill Clinton. Sul piano dell’immagine, nemmeno Bush, che fa perno sul patriottismo, può reggere il confronto.
«La scelta di Edwards - rileva il politologo Larry Sabato - non significa solo che Kerry non intende cedere a priori a Bush il profondo Sud, un feudo conservatore, e che perciò combatterà di Stato in Stato. Contrapponendo Edwards a Cheney, il candidato democratico evidenzia anche l’enorme differenza esistente tra il suo "ticket elettorale" e quello del presidente». Edwards, ricorda Sabato, è il vero volto nuovo del 2004, solare e ottimista, un leader carismatico: «È relativamente giovane, un brillante avvocato che, se necessario, non esita mai ad attaccare i grandi interessi finanziari e industriali, ha un forte impegno sociale. Non è difficile per l’uomo della strada identificarsi in lui, vedervi l’esponente di un futuro migliore». Di fronte a Edwards, aggiunge il politologo, Dick Cheney con i suoi 15 anni in più, una visione tetra del mondo, l’ossessione della segretezza e gli ambigui legami con la Halliburton, una delle aziende più discusse degli Stati Uniti, costituisce in un certo senso il passato: «Ha molta esperienza, ma non è una persona che suscita entusiasmi».
Lo storico della presidenza Stephen Hess è d’accordo. Nota che l’indice di popolarità del vicepresidente è tra i più bassi della storia, il 22%: Kerry, commenta, punta su Edwards «per fare emergere in Cheney ciò che agli americani piace meno di Bush, l’ostinazione e l’arroganza». Ma secondo Hess la nomina del senatore della Carolina del Nord è indicativa altresì della strategia elettorale di Kerry. «L’anno scorso Kerry si propose all’America come il nuovo Kennedy» osserva. «Ma Edwards è un altro Clinton, ne condivide le idee». Con lui al fianco, sostiene lo storico, «Kerry cercherà di conquistare il centro, modellerà la sua campagna su quella clintoniana contro Bush padre nel ’92». Kerry, un eroe della guerra del Vietnam, si concentrerà sulla politica estera e militare, e sarà compito di Edwards seguire la linea moderata di Clinton in politica interna, dall’economia, a diritti civili, alla sanità e così via. Lo aiuteranno molti «amici di Bill», come furono chiamati i clintoniani del miracolo economico e del Welfare. Il loro sogno è di ripetere l’impresa del ’92: di confinare a un solo mandato anche il secondo Bush.
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