Da La Repubblica del 04/07/2004

I colloqui con il Cavaliere: hai perso la partita, ormai non ti faranno più abbassare le imposte

"Con Bossi non sarebbe andata così"

La rabbia dell´ex ministro: mi avevano offerto gli Esteri

di Concita De Gregorio

ROMA - È TORNATO a casa con un volo di linea, un Roma-Milano dell´Alitalia. Da Silvio Berlusconi non vuole più nulla, meno che mai l´aereo di Stato per andarsene. Se ci fosse stato Umberto Bossi non sarebbe andata così, ha detto. Per l´esattezza: «Se Bossi fosse stato qui se la sarebbero sognata questa partita». Seduto nello studio che fu di Quintino Sella ancora per un´ora, Giulio Tremonti si congeda. Di tutta la rovinosa vicenda della sua defenestrazione è questo che soprattutto gli brucia: il modo, il tempo dell´agguato.

La slealtà, la "vigliaccheria politica" - dice - di chi ha pensato di far saltare l´asse Bossi-Tremonti ora che Bossi è fuori gioco, appeso alle macchine e alle flebo: questa è per Fini. Lo urta - questa invece è per Berlusconi - l´opportunismo politico di chi ha fatto i suoi conti e li ha fatti tornare puntando su quella debolezza, con un ragionamento che suona così: di Fini non posso fare a meno, Bossi non c´è perché la Lega è niente senza di lui, Tremonti è una creatura mia, è isolato nella coalizione e nel partito, io l´ho creato io lo posso distruggere. Tremonti il migliore il più potente dei ministri, il delfino del premier, il cinico il saccente, l´anti-Fazio l´unico nella storia repubblicana ad avere i poteri di cinque ministeri insieme, e che ministeri. Ieri sera quando Berlusconi è andato in via XX settembre per il passaggio delle consegne lui è rimasto chiuso nella sua stanza. È stato il premier, alla fine, ad andare a cercarlo. "Lo sai vero che non ti faranno più abbassare le tasse?", gli ha detto Tremonti, "io ho sempre tenuto la spesa a freno per riuscire ad abbassarle, ora eravamo al punto giusto, e non me l´hanno lasciato fare. Lascia stare la scossa all´economia, la crescita. E´ non tagliare le tasse, dal punto di vista elettorale, quel che è demenziale". "No, Giulio lo farò", gli ha risposto Berlusconi, "lo farò perché ci ho messo la faccia". Tremonti ha scosso la testa, ha allargato le braccia. E´ finita così.

Venerdì notte, dopo quel consiglio dei ministri di male parole e anatemi, era andato a casa di un amico. Fino alle cinque del mattino a rivedere il film delle ultime ore. "E´ successo tutto perché Bossi non può reagire", gli ha detto. L´era del Colbert di Sondrio tramonta dunque col più meschino degli alibi: la malattia del suo sodale politico, la debolezza fisica del compagno di gite per funghi in Valtellina e trattorie per Roma. "La sua forza era il rapporto con la Lega. Se ci fosse stato Bossi non sarebbe andata in questo modo", osserva da lontano Bruno Tabacci, Udc, che pure di Tremonti non è stato mai uno sponsor. "Non capisci niente di politica", gli ha detto l´altra sera Fini nell´affondo finale, notturno. Niente forse no, ma certo lo stesso Tremonti ha sempre percepito quella come la sua unica debolezza, e quello è stato l´elemento di fascinazione verso Bossi, al di là e certo insieme al calcolo di convenienza: così rude così naif, Umberto, eppure così dotato di fiuto e di preveggenza, così capace di spiegargli la sera a cena - a lui in doppiopetto - che cosa sarebbe successo e perché, facendo disegni sulle tovaglie di carta.

Nella notte dello sfogo, notte che diventa alba, l´amico gli chiede: quando hai deciso di dimetterti, perché? "Ho deciso quando ho capito che mi avevano fregato. No, non ho rovesciato la scacchiera. Ho abbassato il re", mi sono arreso, intende, "ho capito che avevo perso, non c´era più niente da fare: Fini ne aveva fatto una questione personale, i leghisti non mi hanno difeso, io cosa ci stavo a fare: i tagli? Per me le due cose fondamentali erano il taglio delle tasse sul piano economico e l´asse del Nord sul piano politico. Sono andate in crisi tutte e due. Allora ho dato la mano a tutti, prima di uscire, e me ne sono andato". Berlusconi gli ha offerto il ministero degli Esteri, o il posto da commissario europeo. "A differenza di molti di voi io ho un lavoro - ha risposto lui - guadagno più con la professione che facendo il ministro. Torno a casa mia". Certo però, il ministero degli Esteri..., ha obiettato un suo uomo di staff. "Non puoi avere una sfiducia ad personam e poi rientrare dalla finestra dello stesso governo". Fine della partita.

Ora che sono le sei di pomeriggio tutto quel che doveva succedere è successo: l´ex ragazzo di Reviglio (il "più brillante, dopo Amato, degli ex socialisti", lo definì Formica) ha passato la giornata a scrivere e ricevere lettere, biglietti. La prima è arrivata da Berlusconi, come lui stesso aveva preteso: "Ti chiedo di rassegnare le dimissioni", è la formula scelta dal premier. "Accetto la tua richiesta di dimettermi", è la risposta protocollata di Tremonti. Che sia chiaro - agli atti - che si è trattato di un ordine, per giunta motivato da ragioni di opportunità politica estranee alla condotta per così dire tecnica del ministro. Questo è quello che Tremonti vuol dire ai giornali come ultimo atto del suo mandato, per questo convoca nella splendida sala affrescata al primo piano del ministero decine di cronisti - tra i molti Valentino Parlato anima e padre del manifesto, che abbraccia e bacia con affetto. Vuole spiegare bene, con calma, che nei suoi conti non c´è nulla che non torni, come pretende An e segnatamente il suo vice al ministero Baldassarri. Che c´è stato "un partito che ha posto l´alternativa fra se stesso e le mie dimissioni, e non voglio entrare nel merito dei motivi" ma è chiaro che intende: ragioni estranee al merito della manovra, pretesti. Passa ad illustrare tecnicamente quella "tabella a pagina 13" del documento presentato l´altra notte in consiglio dei ministri, quella dove secondo An mancano due miliardi, la tabella dei "conti truccati". Spiega che tutto "è derivato dall´equivoco frutto di un´analisi non particolarmente attenta: esistono criteri di copertura di bilancio validi ai fini interni, e altri validi per Eurostat. Si è confuso" - si è voluto confondere, intende - "il bilancio di cassa con quello di competenza". Per i più semplici di spirito e di studi, il senso è questo: ci sono, nel bilancio, due miliardi di maggiori entrate ipotetici, calcolati sulla presunzione di crescita dell´economia che sarebbero derivati dalla politica di investimenti e di taglio delle tasse. Non se ne è tenuto conto, si sono confuse le carte, si sono sottratte pere da mele. Se la spiegazione fosse così facile sarebbe chiaro - e questa è difatti la tesi di Tremonti - che chi ha posto la questione non ha voluto ascoltare la risposta. "E´ come se tu mi contestassi di non avere una giacca grigia, e quando io te la mostro mi dicessi: però non hai la cravatta blu", chiosa uno dei suoi collaboratori lì vicino. Nella sostanza la questione è un po´ diversa: i tagli di Tremonti avrebbero penalizzato - secondo Fini - il Mezzogiorno e le piccole e medie imprese a vantaggio del Nord produttivo, andando a colpire il bacino elettorale di An. Non è un caso che Berlusconi abbia pensato nei giorni scorsi di resuscitare il ministero per il Mezzogiorno, e darlo ad An.

Tremonti parla, e si affacciano alla Sala della Maggioranza commessi, segretarie. Finanzieri in divisa e dirigenti degli uffici studi. Accanto a lui siede Domenico Siniscalco il direttore generale, un altro dei Reviglio boys che l´economista portò con sé alle Finanze, nel ?78. A destra Vittorio Grilli il ragionere generale, a cui già D´Alema aveva dato incarico di sovrintendere alle privatizzazioni. A uno di loro, prima di andarsene, dice: "La politica è una roba tremenda". Un altro lo ferma per dirgli: "E´ incredibile che uno col 20 per cento arretri di fronte a gente col 6 o col 12. E´ il conflitto di interessi che funziona anche al contrario: ti votano tutto, ma ti tengono sotto ricatto". Lui sorride, un funzionario gli dice: "E´ incredibile". Risponde "no ti sbagli, mi hanno insegnato che ciò che è reale è razionale. I rapporti di forza nelle ultime settimane sono cambiati, se è successo è perché doveva succedere".

D´altra parte lo ha detto anche a Berlusconi, prima di andarsene da palazzo Grazioli, venerdì notte: "E´ cambiato tutto la sera di Juventus-Deportivo, ti ricordi Silvio?. Quando la Juve uscì dalla Coppa, eravamo in consiglio dei ministri", erano in consiglio con la tv accesa sul calcio, si vede, "è stato lì che tu hai accettato di non tagliare le tasse, e lì hai perso". Non me lo facevano fare, gli ha risposto il premier. "Tu non avevi ancora perso le elezioni. Lo potevi fare, lo dovevi fare. Avevi ancora la spada, dovevi gettarla sul tavolo. Adesso è tardi, sei sotto scacco. Ora, vedrai, non te lo lasceranno fare più".

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