Da Il Messaggero del 29/06/2004
Così Forza Italia perde il granaio del Sud-Est
Da Lecce a Teramo 9 province all’Ulivo. D’Alema: «La borghesia ha tolto la delega al Polo»
di Mario Ajello
BARI - Già si pensa all’anti-Fitto. Cioè? In Puglia, quella del centrosinistra, non è stata una vittoria ma di più: un “cappotto” come aveva vaticinato Massimo D’Alema, che pure in pronostici elettorali spesso non ci azzecca, basti pensare al caso delle ultime regionali. Stavolta, su cinque province pugliesi, l’Ulivo ne ha conquistate cinque: Bari, Brindisi, Lecce, Taranto, Foggia. E per di più, a Bari per la prima volta c’è un sindaco di centrosinistra, il giudice Emiliano, e lo stesso a Foggia con Orazio Ciliberti. Dunque, ora nell’entusiasmo del trionfo freschissimo già si punta a scalzare il berlusconiano Raffaele Fitto dalla presidenza regionale nel 2005. Chi sarà l’anti-Fitto? C’è da registrare che il pupillo del Cavaliere, interprete del berlusconismo quaggiù, l’enfant prodige del forzismo senza spigoli e in salsa mediterranea insomma Fitto col suo ciuffo, la sua carineria estetica e le sue origini da Maglie che è terra morotea deve registrare il crollo del suo sistema di governo.
Dice Domenico Minnitti, autorevole politologo di Forza Italia e neo sindaco di Brindisi, uno dei pochi polisti che in queste ore ha vinto: «Il sistema Fitto si è inceppato perché ha trovato un limite che è lo stesso limite che sta pagando Berlusconi. Ossia la crisi della personalizzazione carismatica della politica. Questo paradigma che sembrava super moderno è invecchiato molto precocemente e sta cedendo il posto a una esigenza di politica più tradizionale: politica come capacità di mediazione e di partecipazione. Fitto ha compiuto grandi riforme, ha governato bene, ma paga questo passaggio d’epoca. Comunque è giovane e capace e può cambiare».
La sinistra, intanto, è cambiata. E’ la sinistra degli Emiliano e dei Divella, l’imprenditore diventato presidente della provincia di Bari. E’ la sinistra che dice D’Alema «ha avuto il voto della borghesia e dei ceti produttivi». E infatti Michele Bordo, segretario regionale dei Ds, appena trentenne, nuova star del dalemismo pugliese, nella ricerca precoce dell’anti-Fitto già tratteggia un identikit ideale: «Deve essere un uomo di raccordo fra partiti e società produttiva. E possibilmente un barese». Proprio Vincenzo Divella? Oppure l’industriale De Bartolomeo?
L’editore Alessandro Laterza, a proposito del polismo alla pugliese, dice che «i consigli comunali sono diventati luoghi di guerriglia permanente. Anni di paralisi amministrativa e si può immaginare con quanta gioia da parte degli imprenditori. Due anni almeno di economia grigia, e di occupazione in calo. E, sopra lo stagno, un altoparlante che ripete di continuo: Ci penso io!». Cioè il super presidente Fitto.
Osserva Giangiacomo Pellegrino, uno dei più dinamici avvocati pugliesi: «Il sistema Fitto, dopo grandi speranze di rinnovamento, si è tradotto in una gestione accentratrice e personalistica del potere. Se le Usl di tutte le città pugliesi sono occupate da uomini di Fitto e questi non possono spostare neppure un posacenere senza il suo ordine personale, il risultato è l’immobilismo. E ai pugliesi l’immobilismo provoca l’orticaria».
Così l’armonia del compianto Pinuccio Tatarella (antico genius loci) si è via via trasformata in una disarmonia. Quindi in un paradosso. Che proprio D’Alema riassume così: «Fitto non era berlusconiano, e questa è stata la sua qualità. Sapeva esercitare il potere senza inutili arroganze. Berlusconiano lo è diventato proprio alla fine, quando la stella del Cavaliere ha cominciato a spegnersi».
Mennitti è convinto che, proprio grazie a Fitto, la partita pugliese è ancora apertissima. La sinistra, intanto, guardando al 2005, si gode il proprio paradosso. Quello di essere sinistra e, insieme, di non esserlo, di essere pugliese nel senso popolare e populistico, un po’ alla Di Vittorio, di coniugare pragmatismo e post-ideologia e, magari, di somigliare per esempio nella mediazione e nel doroteismo un po’ innovativo a ciò che i pugliesi sognavano fosse Fitto. Dopo Fitto, quindi, ecco qualcosa che lo comprende e forse lo supera.
Dice Domenico Minnitti, autorevole politologo di Forza Italia e neo sindaco di Brindisi, uno dei pochi polisti che in queste ore ha vinto: «Il sistema Fitto si è inceppato perché ha trovato un limite che è lo stesso limite che sta pagando Berlusconi. Ossia la crisi della personalizzazione carismatica della politica. Questo paradigma che sembrava super moderno è invecchiato molto precocemente e sta cedendo il posto a una esigenza di politica più tradizionale: politica come capacità di mediazione e di partecipazione. Fitto ha compiuto grandi riforme, ha governato bene, ma paga questo passaggio d’epoca. Comunque è giovane e capace e può cambiare».
La sinistra, intanto, è cambiata. E’ la sinistra degli Emiliano e dei Divella, l’imprenditore diventato presidente della provincia di Bari. E’ la sinistra che dice D’Alema «ha avuto il voto della borghesia e dei ceti produttivi». E infatti Michele Bordo, segretario regionale dei Ds, appena trentenne, nuova star del dalemismo pugliese, nella ricerca precoce dell’anti-Fitto già tratteggia un identikit ideale: «Deve essere un uomo di raccordo fra partiti e società produttiva. E possibilmente un barese». Proprio Vincenzo Divella? Oppure l’industriale De Bartolomeo?
L’editore Alessandro Laterza, a proposito del polismo alla pugliese, dice che «i consigli comunali sono diventati luoghi di guerriglia permanente. Anni di paralisi amministrativa e si può immaginare con quanta gioia da parte degli imprenditori. Due anni almeno di economia grigia, e di occupazione in calo. E, sopra lo stagno, un altoparlante che ripete di continuo: Ci penso io!». Cioè il super presidente Fitto.
Osserva Giangiacomo Pellegrino, uno dei più dinamici avvocati pugliesi: «Il sistema Fitto, dopo grandi speranze di rinnovamento, si è tradotto in una gestione accentratrice e personalistica del potere. Se le Usl di tutte le città pugliesi sono occupate da uomini di Fitto e questi non possono spostare neppure un posacenere senza il suo ordine personale, il risultato è l’immobilismo. E ai pugliesi l’immobilismo provoca l’orticaria».
Così l’armonia del compianto Pinuccio Tatarella (antico genius loci) si è via via trasformata in una disarmonia. Quindi in un paradosso. Che proprio D’Alema riassume così: «Fitto non era berlusconiano, e questa è stata la sua qualità. Sapeva esercitare il potere senza inutili arroganze. Berlusconiano lo è diventato proprio alla fine, quando la stella del Cavaliere ha cominciato a spegnersi».
Mennitti è convinto che, proprio grazie a Fitto, la partita pugliese è ancora apertissima. La sinistra, intanto, guardando al 2005, si gode il proprio paradosso. Quello di essere sinistra e, insieme, di non esserlo, di essere pugliese nel senso popolare e populistico, un po’ alla Di Vittorio, di coniugare pragmatismo e post-ideologia e, magari, di somigliare per esempio nella mediazione e nel doroteismo un po’ innovativo a ciò che i pugliesi sognavano fosse Fitto. Dopo Fitto, quindi, ecco qualcosa che lo comprende e forse lo supera.
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su The Economist del 21/04/2005
di Barbara McMahon su The Guardian del 18/04/2005
di Ilvo Diamanti su La Repubblica del 17/04/2005
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di AA.VV.
Reality Book, 2006
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Contemporanea Editore, 2006
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