Da La Repubblica del 15/06/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/f/sezioni/politica/riso2004due/colpevoli...

Cresce la tentazione del premier: rinviare le Regionali del 2005

Forza Italia, dopo il flop è caccia ai colpevoli

Scajola: ne conosco pochi che hanno lasciato, uno sono io
Bondi: ho pensato di dimettermi. Poi la telefonata di Silvio

di Concita De Gregorio

ROMA - La prima cosa che gli è venuta in mente è stato un pensiero semplice: il modo più sicuro per non perdere ancora è non andare a votare. Così al risveglio dalla nottataccia Silvio Berlusconi ha preso il telefono e ha cominciato a chiamare: "Vi ricordate quel progetto di rinviare le regionali del 2005?". Quello di cui si era cominciato a parlare quando si presentiva la sconfitta: ecco, quello. "Riprendiamolo subito in mano. Accorpiamo le regionali dell'anno prossimo alle politiche del 2006. Aumentiamo di un anno il mandato dei governatori. Subito, con una legge ordinaria, a maggioranza. Facciamolo". Ne ha parlato con Letta, con Pisanu, con Frattini. Ha chiesto lumi: tecnicamente si può fare? Facciamolo. Ieri mattina il ministro degli Esteri era già lì al telefono che ne ragionava ad alta voce con un interlocutore scettico: certo che si può fare. Ma sì, con legge ordinaria, il mandato degli amministratori non è mica in Costituzione, è già stato allungato di un anno quello dei sindaci. Si vota a maggioranza e basta, si va direttamente alle politiche.

Ecco, il primo riflesso dell'istinto di conservazione di Forza Italia è stato questo. Limitare il danno, pensare a domani. Poi certo ci sarà da aggiustare il partito. Questo di Bondi e Cicchitto non ha funzionato. Claudio Scajola, la vittima sacrificale, il reietto, è lì nel suo studio di Imperia un sorriso grande così: nella sua città Forza Italia ha preso il 48 per cento, risultato storico, otto punti in più delle politiche. Il sindaco è stato eletto col 64 per cento al primo turno. Berlusconi ha preso il record di preferenze in rapporto all'elettorato. Come ha fatto, ministro? "Una lista molto competitiva e un rapporto stretto con la gente. Ho percorso undicimila chilometri in campagna elettorale, ho scelto i candidati, ho curato l'elettorato". Come dire: ecco quello che si deve fare e che a Roma non è stato fatto. Chissà se ci sarà qualcuno che sentirà il bisogno di dimettersi, adesso. Scajola ride: "Non ne conosco tanti che si siano dimessi. Un paio al massimo, uno in particolare molto da vicino".

Sandro Bondi il coordinatore, per esempio, nella notte ci ha ripensato. "Certo che sul momento ho pensato alle dimissioni. E' umano. E' doveroso per un politico farlo. Ma non drammatiziamo. Apriamo una discussione serena, adesso". Una discussione serena, certo. Berlusconi non è uomo da mollare i suoi nel momento del bisogno. "E' persona generosa - lo loda Roberto Antonione, il coordinatore del partito a cui Bondi e Cicchitto sono subentrati - copre gli errori dei suoi e li coprirà ancora, non li farà dimettere. Andrà al contrattacco, caso mai. Se serve, tutt'al più, allargherà la squadra". Difatti è andata così, ieri. Telefonata a Bondi alle quattro del pomeriggio, riferita in questi termini: "Sandro, hai tutta la mia solidarietà. Lo sai quanto apprezzo il tuo lavoro, non è colpa tua. La colpa è mia, sto per mandare una nota sulle elezioni proprio per dire questo. Niente dimissioni, non se ne parla". Di seguito il premier ha dettato la scaletta dei temi che Bondi e Cicchitto avrebbero dovuto illustrare di lì a poco in conferenza stampa. Non una parola su Cicchitto, che alcuni del ras regionali vorrebbero fuori prima dell'estate.

I due arrivano in conferenza stampa in compagnia del biondo senatore Malan, responsabile della propaganda, e di Antonio Palmieri, capo della comunicazione, il primo mandato nella notte a mettere la faccia sulla sconfitta. "Scusate se bevo, ho la salivazione azzerata come Fantozzi", dice Bondi alla selva di cronisti riuniti sotto il tendone nel cortile di via dell'Umiltà, oggi sgombro di pasticche alla menta tricolori. I primi verbi che Bondi declina sono "ascoltare, correggere, modificare, arricchire". E' ovvio che ha cambiato rotta, l'avvilimento notturno è svanito con l'alba. Berlusconi si assume "ogni responsabilità della sconfitta", perciò qui c'è solo da attaccare gli avversari e pretendere, come Cicchitto fa, che "Fassino chieda scusa per l'accusa di aver manipolato i dati". Palmieri parla del successo della sua campagna elettorale "archetipo della moralità del fare". Dice con orgoglio frasi come "abbiamo sdoganato il marketing politico". Malan, a dispetto delle tabelle in quel momento in tv, dice che "Forza Italia è il primo partito, l'Ulivo è solo un'alleanza elettorale".

Autoassoluzione completa, quindi, ma è un rito. Il processo interno la resa dei conti sono appena cominciate. Dalla periferia i malumori salgono sonori si sentono fin qui. Il modello del partito leggero - il movimento - resuscitato da Dell'Utri (di cui Bondi e Cicchitto sono creature) contro quello di partito pesante voluto da Scajola e conservato da Antonione ha fallito. Le candidature erano tutte sballate. Esempi: in Calabria l'unico candidato di Forza Italia era Covello, quindici anni fa deputato dc finito e poi uscito dai guai, An proponeva Gasparri e Alemanno, l'Udc i suoi deputati calabresi. A Bergamo, dove la volta scorsa Arnoldi prese 30 mila preferenze, di Forza Italia non c'era nessuno. I socialisti hanno vinto "perché a De Michelis abbiamo dato visibilità, e perché l'area laica di Forza Italia non rappresentata da questa dirigenza: si è rifugiata nella casa madre", dice un dirigente del Nordest, che aggiunge: "Il partito è un malato terminale, non vedo terapie". Cicchitto, al massimo dell'autocritica: "Dobbiamo ragionare su partito aperto e partito chiuso", sottintende che il suo, a tratti, si è chiuso. Scajola brindando alla sua vittoria coi liguri osserva perfido che "in un partito aperto si fanno i congressi veri, a scadenze regolari, si iscrive chi vuole, ci si confronta liberamente e si vota a voto segreto".

Ad Assago non è andata esattamente così, non è un caso che la metà dei delegati, pur avendo viaggio e camera pagati, non si sia nemmeno presentato. "Un ciclo si è chiuso, è finito", conclude Antonione. "Quando si è il partito del leader se il capo va male vanno male tutti". La questione è capire perché il capo va male. Difficile immaginare Berlusconi che ammette di aver sbagliato, difatti le colpe anche oggi non sono le sue: sono stati la par condicio, il ciclo economico. Unica concessione, un difetto di presenza: gli impegni di governo gli hanno impedito di seguire il partito da vicino. Rimedierà. Ci sarà un direttorio: entreranno i governatori più forti e i talenti più giovani. Non subito, tanto non c'è fretta. Vedrete che nel 2005 non si vota.

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