Da Corriere della Sera del 16/06/2004

La sconfitta dei tre moschettieri di Silvio

Pili ha perso la Sardegna, Puglia e Sicilia hanno abbandonato Fitto e Miccichè. Gli ex delfini dovranno ricominciare da capo

di Maria Latella

ROMA - Erano i tre moschettieri di Silvio: Mauro, Raffaele e Gianfranco. Dopo il 13 giugno, qualcosa è cambiato anche per loro, per Mauro Pili, Raffaele Fitto e Gianfranco Miccichè. Per Pili soprattutto, battuto da Renato Soru nella conquista del governatorato sardo. Che cosa è successo? E’ successo che uno s’è candidato, e non doveva. Gli altri due avrebbero voluto, ma gliel’hanno impedito. Così almeno raccontano gli amici del presidente della Puglia, Fitto, e del viceministro Miccichè: prevedendo elezioni meste, entrambi, in un soprassalto titanico, s’erano offerti di fare da barriera. Il Cavaliere sembrava d’accordo, «poi qualcuno l’ha convinto a dire no». Qualcuno chi? Antonio Tajani, sussurrano in via dell’Anima. Temeva l’ondata dei governatori, dopo Miccichè e Fitto si sarebbero candidati tutti e quando si è in troppi, a Bruxelles...

I tre moschettieri non si somigliano e hanno storie tra loro assai diverse. Solo il caso e il Cavaliere li hanno fatti incontrare. Il primo, Mauro Pili, non era un politico di professione ma questo non significa che, battuto in Sardegna, sarà costretto a cambiare mestiere. Anzi: «Pili ha perso le elezioni. Adesso Berlusconi gli troverà un posto di responsabilità nel partito», scherzavano ieri in Forza Italia. Per Pili, d’altra parte, il Cavaliere ha sempre avuto un debole. Glielo presentò un amico comune, Comincioli, e Berlusconi rimase impressionato: il giovanotto sapeva comunicare, perbacco, e indubbiamente possedeva il fisico del ruolo del manager Publitalia. Tanto bastò per candidarlo al governo della Regione. A parte la commovente ammirazione per gli scritti di Roberto Formigoni (Pili fu beccato con le mani nella marmellata, avendo copiato per intero il programma del collega della Lombardia), del giovane sardo si ricorda più che altro la difficile convivenza in Regione.

Enfant prodige è sempre stato anche Raffaele Fitto. Trentaseienne, dicono sia un po’ il nostro George W. Bush, un texano di Puglia, nel senso che è figlio di una famiglia del Sud, da sempre in politica e da sempre democristiana. A differenza di George W., però, il giovane Raffaele è sempre stato assai cauto e morigerato, né risulta abbia ancora trovato la sua Laura. Anni fa dicono si fosse innamorato di una bellissima, però separata con figlio. Mamma Fitto, più tosta di Barbara Bush, l’avrebbe convinto a soprassedere. Quando Fitto comparve sulla scena pugliese, Berlusconi reagì con diffidenza. Tutta quella storia democristiana alle spalle... E poi il governatore di allora, Di Staso, gli piaceva. «Ma perché lo dobbiamo cambiare?», chiedeva a tutti. Conosciuto il giovane Raffaele, ne divenne deciso supporter.

I nemici di Fitto dicono che se Forza Italia, in Puglia, ha praticamente perduto tutto, gran parte della colpa è sua e del fratello di Tatarella, Salvatore, che con le sue richieste ha fatto perdere un sacco di tempo. «La verità è che Raffaele ha cercato di applicare senza sconti la riforma sanitaria, quella di Sirchia» replicano gli amici. Fitto come Hillary Clinton, sacrificato sull’altare della sanità. Sia come sia, la Puglia, che ai tempi di Pinuccio Tatarella, e anche dopo, era sicura roccaforte del centrodestra, subisce oggi - e assai di buon grado - il pianificato assalto delle truppe dalemiane. Resistono, certo, le fitte reti di Fitto. Resiste, a Lecce, l’ottimo sindaco di An Adriana Poli Bortone, premiata anche ora, alle Europee, con centomila preferenze. Ma, insomma, anche Fitto al momento non se la passa bene. «Lavorerà il triplo e si riprenderà», assicura chi lo conosce. E’ una battuta d’arresto, mica la fine.

Più complesse si annunciano le prospettive per il terzo vicerè punito dal 13 giugno. Gianfranco Miccichè, l’uomo del 61 a 0, stavolta ha portato Forza Italia al 21,5, niente che faccia sognare. La notte delle elezioni, in via dell’Anima, sede romana di Forza Italia, più le proiezioni deprimevano gli animi, più i forzisti si aggrappavano alla speranza. «Guardate che non sono ancora arrivati i dati della Sicilia. Lì non possiamo perdere» insisteva La Loggia. Sono arrivati, alla fine: cinque punti in meno. Con Miccichè candidato, dicono i suoi, le cose sarebbero andate diversamente, almeno a Palermo. Intanto, sussurrano, il viceministro sta seriamente considerando l’ipotesi di lasciare il suo viceministero ad Alemanno. «Quel che è fatto è fatto e non potranno smontare più niente - ha confidato dopo il 13 giugno -. Lavorare come un pazzo per sentirsi dire dagli alleati che al Sud non abbiamo mantenuto le promesse, non mi va più. Se la vedano loro». Stavolta, pare, non farà barricate.

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