Da Il Messaggero del 05/06/2004
In un quadro nazionale difficile (+0,3%) il Pil cresce dello 0,7 nelle regioni centrali e dello 0,4 nel Mezzogiorno
L’economia del centro-sud corre di più
Nel 2003 confermata l’inversione di tendenza: è crisi nel nord-est
di Piero Cacciarelli
ROMA In un’Italia frenata dalla stagnazione, il Sud continua a mostrarsi più dinamico del Nord, che perde colpi specialmente in quella che era una volta l’area industriale trainante, tra Lombardia e Piemonte. I primi dati Istat sul Prodotto interno lordo nel 2003, diviso per grandi aree geografiche, confermano un fenomeno già notato nel 2002, ma soprattutto ribadiscono che adesso la vera locomotiva del Paese è il Centro, grazie anche al notevole apporto di Roma e del suo hinterland. Se per l’insieme della Penisola l’anno scorso è stato caratterizzato da una crescita modesta, appena lo 0,3%, per le regioni del Nord-Ovest si deve parlare di vera e propria recessione, dal momento che qui il Pil è calato esattamente nella stessa misura, lo 0,3%. La situazione, dunque, è peggiorata rispetto al 2002, quando l’arretramento si era limitato allo 0,1%. Ben diversa la fotografia del Mezzogiorno, che pone in evidenza un tasso di sviluppo dello 0,4%, identico a quello dal Nord-Est. In questo modo le regioni meridionali riescono a ridurre il divario dal resto d’Italia, ma quelle centrali fanno ancora meglio, mettendo nel carniere un incremento del valore aggiunto economico pari allo 0,7%.
Certo, per il Sud non sono tutte rose e fiori, perché l’andamento dell’occupazione resta allarmante. Lo 0,4% in più del Pil non si traduce in maggiori posti di lavoro, che anzi fanno segnare un calo dello 0,1%: segnale negativo in un contesto storicamente afflitto da un’altissima disoccupazione. Va rimarcato che l’avanzata del Prodotto interno lordo nel Mezzogiorno è dovuta esclusivamente ai servizi, che migliorano dello 0,5%. Cattivo momento, invece, per l’industria e l’agricoltura, che accusano una contrazione dello 0,6% e dello 0,5%. In queste condizioni, è logico che i consumi globali non riescano ad andare oltre un più 1,2% e la spesa delle famiglie si attesti a un più 0,9%.
Il meno 0,3% accusato dal Pil nel Nord-Ovest, indizio inequivocabile di crisi, è determinato dalla contrazione dello 0,8% nel settore industriale e dallo scivolone del 4,3% in agricoltura, solo in parte compensati dal più 0,3% del terziario. E la crescita negativa fa arretrare di un punto percentuale la produttività del lavoro, anche se l’occupazione mette a segno un più 0,7%. Finita l’era della grande industria nel triangolo Milano-Torino-Genova, pure il Nord-Est deve abbandonare il ruolo di ”motorino” d’Italia, ma l’economia nel complesso tiene, con il suo più 0,4%. Tuttavia, in zone per tradizione caratterizzate da un’agricoltura progredita, proprio questo comparto accusa un calo a due cifre: meno 10,6 punti. Per fortuna, è questa l’unica area del Paese in cui l’industria non perde terreno, ma avanza dello 0,9%. I servizi, invece, non superano lo 0,3%. In effetti, il compito di trainare spetta al Centro, che mette all’incasso i migliori risultati sia per il Pil (più 0,7%), sia per l’occupazione (più 1% netto). I guai anche qui vengono dall’agricoltura, che crolla addirittura del 12,1%, mentre i servizi mantengono il loro ruolo prioritario, mostrando un progresso dell’1,4%. Aumentano dell’1,3% i consumi totali e dell’1% quelli delle famiglie. Sul piano generale, merita una diagnosi più approfondita il profondo rosso che accusano agricoltura e pesca, con una velocità di caduta che dal 2,6% del 2002 accelera fino al 5,7% del 2003. E di fronte all’industria, che perde quattro decimi di punto, fa una migliore figura il terziario, in progresso dello 0,6%.
Certo, per il Sud non sono tutte rose e fiori, perché l’andamento dell’occupazione resta allarmante. Lo 0,4% in più del Pil non si traduce in maggiori posti di lavoro, che anzi fanno segnare un calo dello 0,1%: segnale negativo in un contesto storicamente afflitto da un’altissima disoccupazione. Va rimarcato che l’avanzata del Prodotto interno lordo nel Mezzogiorno è dovuta esclusivamente ai servizi, che migliorano dello 0,5%. Cattivo momento, invece, per l’industria e l’agricoltura, che accusano una contrazione dello 0,6% e dello 0,5%. In queste condizioni, è logico che i consumi globali non riescano ad andare oltre un più 1,2% e la spesa delle famiglie si attesti a un più 0,9%.
Il meno 0,3% accusato dal Pil nel Nord-Ovest, indizio inequivocabile di crisi, è determinato dalla contrazione dello 0,8% nel settore industriale e dallo scivolone del 4,3% in agricoltura, solo in parte compensati dal più 0,3% del terziario. E la crescita negativa fa arretrare di un punto percentuale la produttività del lavoro, anche se l’occupazione mette a segno un più 0,7%. Finita l’era della grande industria nel triangolo Milano-Torino-Genova, pure il Nord-Est deve abbandonare il ruolo di ”motorino” d’Italia, ma l’economia nel complesso tiene, con il suo più 0,4%. Tuttavia, in zone per tradizione caratterizzate da un’agricoltura progredita, proprio questo comparto accusa un calo a due cifre: meno 10,6 punti. Per fortuna, è questa l’unica area del Paese in cui l’industria non perde terreno, ma avanza dello 0,9%. I servizi, invece, non superano lo 0,3%. In effetti, il compito di trainare spetta al Centro, che mette all’incasso i migliori risultati sia per il Pil (più 0,7%), sia per l’occupazione (più 1% netto). I guai anche qui vengono dall’agricoltura, che crolla addirittura del 12,1%, mentre i servizi mantengono il loro ruolo prioritario, mostrando un progresso dell’1,4%. Aumentano dell’1,3% i consumi totali e dell’1% quelli delle famiglie. Sul piano generale, merita una diagnosi più approfondita il profondo rosso che accusano agricoltura e pesca, con una velocità di caduta che dal 2,6% del 2002 accelera fino al 5,7% del 2003. E di fronte all’industria, che perde quattro decimi di punto, fa una migliore figura il terziario, in progresso dello 0,6%.
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