Da Corriere della Sera del 04/06/2004

Ritorno in Europa

di Ennio Caretto

Il presidente americano Bush incomincia oggi a Roma un viaggio in Europa e al G8 che è di riconciliazione e di speranza assieme, un viaggio-ponte non solo tra Bagdad che ha dato vita a un nuovo governo e l’Onu che è chiamato a legittimarlo, ma anche tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea dopo le divisioni sulla guerra in Iraq. Rispetto a un anno, un anno e mezzo fa, dovrebbe essergli più facile promuovere il consenso transatlantico. Il presidente sta cambiando strada in Iraq, è disposto a fare concessioni agli alleati, avverte l’urgenza di affrontare il problema arabo-israeliano. Da un lato, compito dell’Europa è di andargli incontro, dall’altro è di indurlo a internazionalizzare davvero la crisi dell’Iraq e restituire davvero la totale sovranità agli iracheni. La rettifica di rotta di Bush è incontestabile. Oggi il presidente americano distingue tra ribelli e terroristi a Bagdad, prospettando un dialogo con i primi. A Falluja, a Karbala e Najaf riduce la pressione militare, favorendo la diplomazia e la politica. Accetta il recupero di parte dei baatisti e dell’esercito di Saddam Hussein nel nome della sicurezza e del buon funzionamento dello Stato iracheno. Chiede l’avallo dell’Onu e l’aiuto alleato per l’attuazione dei suoi programmi. Come rileva il New York Times , esautora i falchi del Pentagono. È possibile che Bush sia spinto nella nuova direzione dai rovesci subiti sul terreno e dalla prospettiva di essere sconfitto alle elezioni americane di novembre. Ma è la scelta appoggiata proprio ieri dall’ayatollah Sistani, il massimo leader religioso sciita.

Il fatto che il presidente sfidi le forti dimostrazioni di protesta in Italia e Francia, e le sancisca anzi come espressione della libertà di pensiero e di parola, conferma che il recupero della solidarietà atlantica e il varo della risoluzione all’Onu, che vanno sottobraccio, sono il suo obiettivo prioritario.

Bush ha scelto il sessantesimo anniversario della liberazione di Roma e del «D-Day», lo sbarco in Normandia, per stabilire un paragone, piuttosto forzato, con la liberazione dell’Iraq e con la guerra al terrorismo. Ma anche chi lo respinge, o chi lo accusa di strumentalizzare la visita a fini elettorali, capisce che gli Usa e l’Ue devono collaborare, e guardare avanti, non indietro, alla ricostruzione dell’Iraq e del Medio Oriente, come nel ’44-’45 si guardò a quella dell’Europa.

La differenza principale rispetto a un anno, un anno e mezzo fa, è che i rapporti di forza tra Bush e gli alleati più critici si sono quasi capovolti. Il presidente ha perso attendibilità e autorità morale nella disputa sulle presunte armi di sterminio di Saddam e nello scandalo delle torture dei prigionieri iracheni, e le dimissioni di ieri del direttore della Cia George Tenet dimostrano che la sua amministrazione è avviata a un periodo di crisi.

Mai come ora, Bush ha bisogno dell’appoggio dell’Europa e del Pontefice, la voce della coscienza del mondo occidentale. Negarglielo, sarebbe un grave errore. È nell’interesse di tutti che con il viaggio in Europa e poi al G8 si creino le premesse del «sì» alla risoluzione all’Onu.

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