Da Corriere della Sera del 28/05/2004
Un altolà preoccupato ad alleati e avversari
di Massimo Franco
L’inquietudine affiora dietro un orgoglio obbligatorio, in vista delle elezioni di giugno; e spinto per due ore fino ai limiti dell’autocelebrazione. La segnalano l’insistenza con la quale ieri, al secondo congresso di FI, Silvio Berlusconi ha sottolineato la «moralità del rispetto degli impegni presi»; l’ammonimento che il programma del 2001 è stato presentato agli elettori «in pieno accordo con gli alleati della coalizione»; e la dichiarazione tanto solenne quanto in apparenza superflua, che il suo è e rimarrà «un governo di legislatura». Sventolando il «Contratto con gli italiani» di tre anni fa, ha scandito: «Da quel contratto non è ammesso il balletto dei governi dei 50 anni che ci hanno preceduto». Berlusconi sembrava parlare non al proprio partito, ma a Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Marco Follini: gli alleati che ieri, dietro lo schermo diplomatico di «altri impegni elettorali», hanno disertato la tribuna degli ospiti. La loro assenza è stata percepita come la conferma del comandamento del «fai da te», dominante in questa campagna europea perfino in una coalizione compatta come il centrodestra. Il capo del governo non li ha mai citati esplicitamente. L’unico alleato evocato con affetto è stato quello assente per malattia: il capo della Lega Nord, Umberto Bossi; e gridando «Forza federalismo», è stato rilucidato l’asse con i lumbard.
Ma l’avvertimento obliquo sul governo di legislatura è, in primo luogo, per An e Udc. Nella maggioranza si è parlato di una resa dei conti dopo il 13 giugno; comunque, di un robusto rimescolamento dei ministeri, dando per scontato un riequilibrio dei rapporti di forza interni. Ieri, invece, il premier ha cercato di troncare in anticipo qualunque ipotesi di «Berlusconi bis» o, peggio, di un esecutivo diverso. Contrapponendo il proprio record di longevità ai tre governi ulivisti nati e morti fra il 1996 e il 2001, ha scandito: «Con noi questo non c’è stato, non ci sarà, non ci potrà essere mai».
E’ un segnale alla maggioranza, destinato tuttavia a superarne i confini; a mettere in guardia tutti i poteri e le istituzioni che Berlusconi sospetta di tramare contro di lui, di voltargli le spalle. La stessa freddezza verso il governo notata in mattinata all’assemblea della Confindustria è un campanello d’allarme per Palazzo Chigi. E la difesa del federalismo fatta da Berlusconi al congresso di Assago è stata letta come una replica immediata al nuovo presidente degli imprenditori, Luca di Montezemolo, oltre che come una rassicurazione alla Lega. Eppure, rimane il tarlo di una «demoralizzazione» del Paese, che per la prima volta il capo del centrodestra teme di non riuscire a fronteggiare e a sconfiggere come in passato.
La scelta di espressioni tipo «colpo di frusta», «choc positivo», «scossa» è stata rivelatrice. E’ come se Berlusconi avesse captato una battuta d’arresto di quello «slancio vitale», che addita come peculiarità della propria tribù elettorale; e vedesse una fastidiosa nebbiolina sull’«alba» psicologica dell’esercito di FI. Il rilancio del «taglio delle tasse per tutti» suona come l’estrema magia per risvegliare l’entusiasmo di un elettorato che magari continua a detestare la sinistra; ma comincia a mostrare una delusione crescente nei confronti delle promesse e dei fatti rivendicati da Berlusconi.
Ma l’avvertimento obliquo sul governo di legislatura è, in primo luogo, per An e Udc. Nella maggioranza si è parlato di una resa dei conti dopo il 13 giugno; comunque, di un robusto rimescolamento dei ministeri, dando per scontato un riequilibrio dei rapporti di forza interni. Ieri, invece, il premier ha cercato di troncare in anticipo qualunque ipotesi di «Berlusconi bis» o, peggio, di un esecutivo diverso. Contrapponendo il proprio record di longevità ai tre governi ulivisti nati e morti fra il 1996 e il 2001, ha scandito: «Con noi questo non c’è stato, non ci sarà, non ci potrà essere mai».
E’ un segnale alla maggioranza, destinato tuttavia a superarne i confini; a mettere in guardia tutti i poteri e le istituzioni che Berlusconi sospetta di tramare contro di lui, di voltargli le spalle. La stessa freddezza verso il governo notata in mattinata all’assemblea della Confindustria è un campanello d’allarme per Palazzo Chigi. E la difesa del federalismo fatta da Berlusconi al congresso di Assago è stata letta come una replica immediata al nuovo presidente degli imprenditori, Luca di Montezemolo, oltre che come una rassicurazione alla Lega. Eppure, rimane il tarlo di una «demoralizzazione» del Paese, che per la prima volta il capo del centrodestra teme di non riuscire a fronteggiare e a sconfiggere come in passato.
La scelta di espressioni tipo «colpo di frusta», «choc positivo», «scossa» è stata rivelatrice. E’ come se Berlusconi avesse captato una battuta d’arresto di quello «slancio vitale», che addita come peculiarità della propria tribù elettorale; e vedesse una fastidiosa nebbiolina sull’«alba» psicologica dell’esercito di FI. Il rilancio del «taglio delle tasse per tutti» suona come l’estrema magia per risvegliare l’entusiasmo di un elettorato che magari continua a detestare la sinistra; ma comincia a mostrare una delusione crescente nei confronti delle promesse e dei fatti rivendicati da Berlusconi.
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