Da Corriere della Sera del 28/05/2004

Lo sfidante

Kerry attacca Bush e sale nei sondaggi: «In Iraq serve la Nato»

«L’America deve ottenere l’appoggio degli alleati, un fiasco avrebbe delle conseguenze devastanti»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Per l'Iraq, John Kerry invoca il ricorso alla Nato, la nomina di una Commissione internazionale che fiancheggi il nuovo governo, e un programma multinazionale d'addestramento dell'esercito e polizia iracheni. «La posta in gioco non potrebbe essere più alta» ammonisce a Seattle, dove inaugura un tour di 11 giorni in America che chiuderà il 6 giugno, il D-day, il giorno dello sbarco in Normandia nella Seconda guerra mondiale. «Se Bush non cambierà corso e non si assicurerà l'appoggio concreto degli alleati, sarà più difficile portare a termine la nostra missione». E' la formula del multilateralismo contro l'unilateralismo, «la coalizione dei capaci non dei pochi» la chiama il candidato democratico alla Casa Bianca. Ma Kerry esclude il ritiro dall'Iraq: «Un fiasco sarebbe di incentivo al nemico e danneggerebbe le prospettive di un Medio Oriente pacifico e democratico, lasciandoci in guerra non con una minoranza radicale ma con vaste parti dell'Islam».

Il discorso è la risposta del senatore al piano in cinque punti di Bush per la soluzione della crisi irachena. Kerry, che due anni fa votò per la guerra, ricorda che fin dall'inizio invitò il presidente a internazionalizzarla. E lo accusa di non averlo fatto. «Ricorse alla forza prima di esaurire la diplomazia - tuona - Impiegò le minacce e la prepotenza invece della persuasione. Partì da solo quando doveva mobilitare la squadra. Mise a rischio il patrimonio ereditato da generazioni di leader».

Si scaglia contro la mancanza di una «exit strategy» e lo scandalo degli abusi sui detenuti iracheni: «Se sarò eletto presidente non consentirò che l'ideologia soffochi la verità, non vi chiederò di entrare in guerra senza piani per vincere la pace, non vi assegnerò compiti mal definiti e per cui non siete stati preparati». Il candidato democratico annuncia che i prossimi giorni pubblicherà un programma dettagliato per uscire dal pantano iracheno.

Sono le critiche del suo partito - «cosa aspetta ad attaccare il presidente?» - a spingere Kerry ad affrontare Bush sul terreno su cui è più forte, quello della sicurezza nazionale. Con il presidente in calo nei sondaggi, il senatore propone una alternativa alle sue guerre preventive e alle sue leggi repressive nella lotta globale al terrorismo. «La nostra politica deve ispirarsi a quattro principi: l'inaugurazione di una nuova età delle alleanze, perché esse moltiplicano la nostra forza; la modernizzazione delle forze armate; il massimo uso del soft power , dall'intelligence alla diplomazia e alla economia; e l’indipendenza dal petrolio mediorientale». E' la stessa formula internazionalista proposta per l'Iraq, «l'unico vero metodo di prevenzione del terrore». Il candidato denuncia l'Arabia Saudita, «che sponsorizza il radicalismo islamico»: «Il baratto tra i nostri valori e il petrolio deve cessare».

Kerry cerca di differenziarsi da Bush anche sulle armi di sterminio, «la minaccia più grave alla nostra sicurezza se cadessero nelle mani dei terroristi». Assicura che «se l'America venisse attaccata con armi non convenzionali, reagirei con forza schiacciante e devastante». Delinea una iniziativa per limitare la loro produzione e per schedare quelle esistenti in tutto il mondo. E ammonisce Al Qaeda e gli altri nemici che «l’America è unita contro di voi, le elezioni non ci dividono». Su questo terreno il senatore ha poco margine di manovra, il suo percorso è quasi obbligato. Ma i liberal appaiono a disagio. Vorrebbero che Kerry fosse aggressivo con Bush su ogni fronte, come l'ex vicepresidente Al Gore, che ha chiesto le dimissioni del consigliere della sicurezza della Casa Bianca Condi Rice, del ministro della Difesa Donald Rumsfeld, del direttore della Cia George Tenet e altri falchi.

Per il momento, tuttavia, il candidato preferisce la moderazione. Nell'ultimo sondaggio di Gallup, Cnn e Usa Today , è davanti a Bush con il 48 contro il 41 per cento dei voti e, addirittura, col 53 contro il 39 per cento se avesse come compagno di corsa il suo amico, il senatore repubblicano «ribelle» John McCain.

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