Da La Repubblica del 21/05/2004

Il personaggio

E il Cavaliere invocò Churchill

di Concita De Gregorio

SAREBBE "l´uomo più felice del mondo" se il centrosinistra, l´opposizione, si comportasse come la claque che da centrodestra lo interrompe 18 volte in 24 minuti per applaudirlo in piedi e gridargli bravo, bravissimo, proprio così. Sarebbe un uomo appagato Silvio Berlusconi se per un incantesimo tutto il Parlamento si spostasse sulla linea dell´amico Bush, da cui proprio l´altro ieri è stato a parlare in privato, e si convincesse a votare il mantenimento delle truppe in Iraq alle sue condizioni. E siccome lui crede nei miracoli, principalmente nei suoi, ci prova.

Molla sul tavolo il discorso da premier moderato che gli avevano preparato per la Camera e al Senato, nella replica, nell´ora di massimo ascolto (nove e mezza di sera, ovviamente in diretta tv) dà il via allo show. Ad uso del pubblico da casa e caso mai dei senatori rimasti. Rilegge gli appunti scritti in aereo. Le crocerossine, i ragionieri: "Avremmo dovuto mandare crocerossine ragionieri imbianchini architetti se non avessimo accettato che in una missione di pace si debba combattere contro chi attenta alla sicurezza". Churchill. "L´idea che si possa ottenere la sicurezza lasciando una nazione in pasto ai lupi è un´illusione. Così disse Churchill alla Camera dei comuni il 21 settembre 1938, alla vigilia del patto di Monaco". I soldi. "Abbiamo contatti con i paesi arabi perché possano intervenire con loro truppe. C´è un problema economico che stiamo cercando di risolvere". Le confidenze con Bush: "Bush mi ha detto il suo sgomento la sua sorpresa per il fatto che alcuni loro militari hanno commesso fatti incredibili. Ha promesso con forte accento di verità, e io gli credo, di punire in modo severo chi ha commesso gli abusi". Rumsfeld. "Il 69% degli americani ha votato per la permanenza di Rumsfeld. E non ci può essere un´ingerenza nella politica interna di un paese alleato". In chiusura, l´appello. "Avete una sola possibilità, ve lo dico col cuore. Cambiate linea non insistete sul ritiro delle truppe. Facciamo un accordo bipartisan, pensateci. Sarei l´uomo più felice del mondo". Applausi, fischi, sipario. La giornata più lunga, sette ore abbondanti fusi orari compresi, è finita. La sinistra resta - dice Fini - "appesa al suo pifferaio magico, Bertinotti". Resta lì a dire che dall´Iraq bisogna andarsene perché ormai siamo in guerra e i patti non erano questi. Ma le posizioni, dietro una mozione unica, sono molte e sfumate. I malumori tanti. L´affondo di Berlusconi sull´Onu ("si è consegnato all´Onu, adesso", sorride Amato uscendo dall´aula) è efficace ed è solo Fassino, alla Camera, che riesce a far perdere al premier la calma quando gli ricorda che mentre lui festeggiava lo scudetto del Milan un soldato moriva. "Ma vai un po´... ma vai un po´...", si legge nel labiale del presidente del Consiglio rivolto al segretario ds. Il microfono è spento, però. Da casa non sentono.

Era partito piano, Berlusconi. Un discorso da metà pomeriggio: aggressivo nella sostanza, moderato nei toni. "Non posso credere che vogliate il ritiro delle truppe proprio ora che interviene l´Onu, come chiedevate", dice con lo sguardo rivolto a sinistra. Un discorso alla nazione tv, scritto perché gli elettori vedano che è uno statista che parla, un leader pacato e conciliante. Detta il piano in sei punti che gli hanno spiegato in America. Ha delle rivelazioni, anche. "Il nuovo governo iracheno sarà guidato da un validissimo personaggio. E se no ce n´è pronto un altro...". "Sì, vacci tu", gridano da sinistra. Risate. Chi è il secondo personaggio? La sera dalla Casa bianca commentano con imbarazzo: "Non sappiamo a chi si alluda, chiedete a Brahimi". Berlusconi prosegue. Angiolino Alfano, in piedi in cima all´emiciclo, mastica gomma americana e dà il via alla serie quasi ininterrotta di applausi forzisti. Bonaiuti segue il testo del premier con il dito e annuisce. "Sono incredulo e preoccupato per come saranno lette queste posizioni dai signori della guerra". Da Rifondazione: "Pensa per te". I verdi abbandonano l´aula in fila indiana. "C´è stata quella decapitazione rituale, ma c´era già stato l´11 settembre...". Centrodestra in piedi, applauso di cordoglio. Bobo Craxi immobile. Segue elenco dei primati dell´Italia. Alfonso Gianni, Prc: "Siamo anche i primi fra gli evasori fiscali". Da destra: "Disfattista". Berlusconi, sollevando lo sguardo: "Mi spiace ci sia questa specie di masochismo nei confronti del nostro paese". D´Alema sorride, parla con Violante. "Ritirarsi adesso sarebbe un oltraggio ai caduti". Applaude anche il senatore Speroni, ospite in loggione in giacca bluette. "Ma vai a San Siro", gridano dai ds. Mai usata la parola torture - in questo primo discorso - mentre per tre volte è evocata la decapitazione dell´americano. Bertinotti lo fa notare, nel tragitto fra Camera e Senato Berlusconi correggerà il testo.

Però tutto sommato tranquillo, il primo round, per gli standard delle risse parlamentari: si è visto di peggio. Partono le repliche. Boselli, Sdi, ricorda che secondo il Financial Times "l´82 per cento dei cittadini iracheni vogliono che le forze di occupazione lascino l´Iraq", e si sa quanto Berlusconi sia sensibile ai sondaggi. Mastella resta sulla posizione del no al ritiro, Bertinotti cita Ingrao: "Che fine ha fatto l´articolo 11 della Costituzione, lo chiedo al presidente della Repubblica", l´Italia ripudia la guerra. Berlusconi continua a far ballare la testa su e giù come un tic, sarà la stanchezza. Rutelli, adesso: "Lei ha tolto all´Italia la capacità di dissentire. Se fossimo stati noi al governo questa vicenda non sarebbe nemmeno iniziata. Lei non propone una svolta, ma una prosecuzione". Fassino, poi: "Le torture hanno tolto ogni legittimità politica a questa guerra. Lei oggi ci richiama a una lealtà all´Onu verso cui solo pochi giorni fa aveva parole sprezzanti. Che Brahimi stesse lavorando ad un governo provvisorio lo si sapeva, non c´era bisogno di andare a Washington per questo". Poi quel richiamo alla festa scudetto che provoca stizza: "ma vai un po´...", Fassino.

Al Senato, quando arriva, sono quasi le sette di sera. Stesso discorso, solo con l´aggiunta del richiamo alle torture e una chiusa un po´ meno aggressiva dei confronti del centrosinistra: "Ci stiamo difendendo da una guerra che ci è stata dichiarata". Tra le repliche la più severa è di Andreotti. L´America ha "la singolare tentazione di dare e revocare brevetti di amico o canaglia", dice il senatore a vita. Le motivazioni addotte alla guerra "erano infondate, non c´è arsenale di armi di distruzione di massa". "Non è nella nostra vocazione né nel nostro ordinamento costituzionale la condivisione di regimi di occupazione". Noi della "cosiddetta prima repubblica", abbiamo lavorato per la pace. "Lei, onorevole presidente, venga più spesso in Senato ad informare e ascoltare". Venga ad ascoltare, gli dice Andreotti. E a un Churchill oppone un Churchill: "Nella stagione dei bombardamenti tedeschi, quando sembrava che tutto fosse perduto, egli andava ogni giorno alla Camera dei Comuni a dare e ricevere coraggio". Pausa, Andreotti ha finito: «Nessuno dimentichi che l´Italia è una repubblica parlamentare", chiude sottovoce. Non è un fastidio, il parlamento. Non è una zavorra.

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