Da Corriere della Sera del 22/05/2004

TRA LE MACERIE

Gaza, le ruspe hanno spianato anche lo zoo

I raid israeliani hanno lasciato senza tetto 1.400 persone

di Elisabetta Rosaspina

RAFAH (Gaza) - «Ecco la mia stanza da letto, e qui dorme mio cugino». Dormiva, casomai. Con un ventilatore in mano, Mahmoud invita i forestieri a visitare la sua casa, scusandosi per il disordine. Non può offrire una seggiola agli ospiti, e tantomeno un letto. Perché qui non dormirà più nessuno, tra calcinacci, materassi sventrati, quaderni sparsi, teiere accartocciate, televisori esplosi, credenze sbriciolate, cassettiere appiattite. Già, mancano anche le pareti. Il tetto è finito da qualche parte, forse quel pezzo di lamiera ondulata che spunta tra stracci colorati, quel che resta di un guardaroba. Si è salvato il ventilatore, che all'aria aperta, dove Mahmoud, 60 anni, e i suoi 15 parenti prevedono di pernottare, non è tra gli elettrodomestici indispensabili. Il cumulo di macerie è molto simile per composizione e disposizione a quello accanto che apparteneva a Mohammed, anche lui sulla sessantina: «Sono arrivati stanotte, mentre dormivamo. "Tutti fuori!" hanno gridato in arabo. Mi sono caricato mio padre di 90 anni sulle spalle e non ho potuto portar via altro» sta raccontando, mentre valuta le possibilità di recuperare dalla polvere un cuscino ricamato. Sì, è «cambiata la realtà sul terreno» del campo profughi di Rafah, come aveva previsto e deciso il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz, all'inizio dell'«Operazione antiterrorismo Arcobaleno». I bulldozer dell'esercito hanno lavorato duro fino all'alba nel quartiere Brazil, che è a un chilometro di distanza dalla frontiera egiziana. Ma è certamente un groviera di cunicoli per il traffico d'armi, almeno sulle mappe militari di chi sta cambiando i connotati alla faccia più miserabile di Gaza.

Brazil è finito sotto i cingolati l'altro ieri, tre giorni dopo Tel Al Sultan, tuttora sotto assedio, più a nord. Ieri pomeriggio, per la prima volta da lunedì, è stato permesso agli abitanti di uscire di casa e ai camion delle Nazioni Unite di entrare per portare acqua e cibo.

L'Operazione Arcobaleno è iniziata pochi giorni dopo la morte di 13 militari israeliani, 11 dei quali dilaniati nel potente scoppio dei loro Apc, due blindati che trasportavano oltre ai soldati quintali di esplosivo, colpiti da un razzo e da una mina anticarro a sud di Rafah. Parte dei resti dei militari era stata esibita in macabro trionfo nelle strade e restituita dopo una penosa mediazione dell'intelligence egiziana con Hamas e la Jihad Islamica. Le contromisure israeliane hanno lasciato sul terreno oltre 40 morti palestinesi, dall'avvio dell'operazione, che ha sollevato le proteste internazionali e provocato la condanna del Consiglio di sicurezza dell'Onu quando un carro armato ha sparato quattro missili verso una folla di manifestanti.

Otto morti, tra cui quattro bambini. Le Nazioni Unite hanno chiesto a Israele di interrompere la demolizione delle case. Negli ultimi giorni sono rimaste senzatetto almeno 1.400 persone, stando ai calcoli dell'Unrwa, l'agenzia per i rifugiati palestinesi dell'Onu che prevede un'emergenza umanitaria.

Forse è per questo che i caterpillar si sono diretti contro lo zoo di Brazil, l'unico di tutta Gaza, spianato senza apparente ragione con le sue gabbie di uccelli rari. Una scimmietta moribonda è stata recuperata solo ieri pomeriggio dal proprietario, Mohammed Ahmed Hicma, che non dimentica i responsabili: «Le ruspe numero 4 e 7. Ma io ho una licenza regolare per il mio zoo - prepara, in mezzo alla devastazione, la sua denuncia -, gli israeliani mi hanno rubato 45 pappagalli rari, il resto degli animali, lupi, volpi, serpenti sono morti o fuggiti». Prima di indietreggiare da Brazil, l'esercito si è portato via anche un centinaio di uomini: il trentottenne Halil Hassam, impiegato al ministero del Lavoro, riappare verso mezzogiorno, dopo il rilascio. Ha i capelli brizzolati e la barba di due giorni: «Ci hanno caricato come scudi umani sopra i carri armati e abbiamo fatto il giro del quartiere, prima di arrivare quasi alla frontiera con l'Egitto dove ci hanno interrogato a lungo, senza picchiarci però. Volevano sapere da noi dove sono i tunnel».

Gliel'avete detto? «Non ce ne sono qui, siamo troppo lontani dall'Egitto. All'una di notte mi hanno ordinato di andarmene. Ho risposto: "E’ buio, i vostri soldati mi spareranno addosso". Mi hanno detto che non era un loro problema. Ho aspettato il mattino nascosto dietro un muro e poi sono tornato a piedi» sorride. La sua casa è ancora lì: non serve altro per essere felici a Brazil oggi.

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