Da La Repubblica del 20/05/2004

LE IDEE

La retorica del lupo davanti all´agnello

di Umberto Eco

La retorica è una tecnica della persuasione, ed è stata elaborata e studiata perché su pochissime cose si può convincere l´uditore attraverso ragionamenti apodittici, ovvero scientificamente inoppugnabili. In genere si discute intorno a cose circa le quali si possono avere diverse opinioni. La retorica antica si distingueva in giudiziaria (in tribunale è discutibile se un dato indizio sia probante o meno), deliberativa (in cui si dibatte per esempio se sia giusto costruire la variante di valico, rifare l´ascensore del condominio, votare per Tizio) ed epidittica, e cioè in lode o in biasimo di qualcosa, e tutti siamo d´accordo che non esistono leggi matematiche per stabilire se sia stato più affascinante Gary Cooper piuttosto che Humphrey Bogart, o se Irene Pivetti appaia più femminile di Platinette. Naturalmente ci sono dei discorsi persuasivi che possono essere facilmente smontati in base a discorsi più persuasivi ancora, mostrando i limiti di un´argomentazione. C´è una pubblicità immaginaria che dice «mangiate merda, milioni di mosche non possono sbagliarsi», e che viene talora usata ironicamente per contestare che le maggioranze abbiano sempre ragione.

L´argomento può essere infatti confutato chiedendo se le mosche prediligano lo sterco animale per ragioni di gusto o per ragioni di necessità - se cioè, cospargendo campi e strade di caviale e miele, le mosche non sarebbero forse maggiormente attirate da queste sostanze, e mangino quello che mangiano perché non hanno altro, come avviene nelle carceri, negli ospedali o durante le carestie.

La retorica tende a ottenere consenso e pertanto non può che fiorire in società libere e democratiche. Se io posso imporre qualcosa con la forza, non ho bisogno di richiedere il consenso: rapinatori, stupratori, saccheggiatori di città, kapò di Auschwitz non hanno mai avuto bisogno di usare tecniche retoriche. Ma esiste anche una retorica della prevaricazione. Sovente chi prevarica vuole in qualche modo legittimare il proprio gesto e persino ottenere consenso da parte di chi soffre quell´abuso di potere. Uno degli esempi classici di pseudo-retorica della prevaricazione ci è dato dalla favola del lupo e dell´agnello di Fedro. Il lupo - che sta a monte del ruscello - cerca un pretesto per divorare l´agnello e lo accusa di intorbidare la sua acqua. L´agnello lo confuta in base all´opinione ragionevole per cui l´acqua trascina detriti e impurità da monte a valle e non viceversa. Il lupo cerca un altro pretesto e lo accusa di aver parlato male di lui sei mesi prima. L´agnello chiarisce che sei mesi prima non era ancor nato. Al che il lupo ribatte: se non sei stato tu sarà stato tuo padre. E divora l´agnello.

Il lupo usa argomenti speciosi, la cui falsità sta sotto gli occhi di tutti. Talora però gli argomenti sono più sottili perché sembrano prendere come punto di partenza un´opinione compartecipata dai più, e su quella lavora, noncurante delle contraddizioni che ne seguono. Leggiamoci questo brano: «Di quando in quando i giornali illustrati mettono sotto gli occhi del piccolo borghese (...) una notizia: qua o là, per la prima volta, che un Negro è diventato avvocato, professore, o pastore o alcunché di simile. Mentre la sciocca borghesia prende notizia con stupore d´un così prodigioso addestramento... l´ebreo, molto scaltro, sa costruire con ciò una nuova prova della giustezza della teoria, da inocularsi ai popoli, della eguaglianza degli uomini. Il nostro decadente mondo borghese non sospetta che qui in verità si commette un peccato contro la ragione; che è una colpevole follia quella di ammaestrare una mezza scimmia in modo che si creda di averne fatto un avvocato, mentre milioni di appartenenti alla più alta razza civile debbono restare in posti incivili e indegni. Si pecca contro la volontà dell´Eterno Creatore lasciando languire nell´odierno pantano proletario centinaia e centinaia delle sue più nobili creature per addestrare a professioni intellettuali Ottentotti, Cafri e Zulù. Perché qui si tratta proprio d´un addestramento, come nel caso del cane, e non di un "perfezionamento" scientifico». Di chi è questo brano? Di Bossi? L´ipotesi non sarebbe inverosimile, ma il brano è di Adolf Hitler, da Mein Kampf. Hitler si trova a dover confutare un argomento molto forte contro l´inferiorità di alcune razze, e cioè che, se un africano viene messo in condizioni di imparare, si rivela altrettanto capace di un europeo. Hitler confuta l´argomento chiedendosi come sia possibile che un essere inferiore impari, se non per addestramento meccanico come avviene con gli animali da circo. L´argomento, che tendeva a dimostrare che i neri non erano animali, viene confutato ricorrendo all´opinione indiscussa che i neri siano animali.

Ma torniamo al lupo. Esso, per divorare l´agnello, cerca un casus belli, cerca cioè di convincere tutti, e forse persino se stesso, che egli mangia l´agnello perché gli ha fatto un torto. La storia dei casus belli mette in scena dei lupi un poco più avveduti. Tipico è il casus belli che ha dato origine alla prima guerra mondiale. Nell´Europa del 1914 esistevano tutti presupposti (economici, militari, coloniali, ideologici) per una guerra, ma nessuna di queste premesse la giustificava. Ed ecco che, a Sarajevo, il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco uccide in un attentato l´arciduca ereditario d´Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e la consorte. E´ ovvio che il gesto di un fanatico non coinvolge un intero paese, ma l´Austria coglie la palla al balzo. Dopo aver comunicato alla Serbia un ultimatum inaccettabile, essa le dichiara guerra, e in breve tempo tutti gli altri stati europei entrano in lizza.

Esiste un´altra forma di giustificazione della prevaricazione, ed è il ricorso alla sindrome del complotto. Uno dei primi argomenti che si usano per scatenare una guerra o dare inizio a una persecuzione è l´idea che si debba reagire a un complotto ordito contro di noi, il nostro paese, la nostra civiltà. Il caso dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, il libello che è servito di giustificazione allo sterminio degli ebrei, è un tipico caso di teoria del complotto. Chi ha saputo creare intorno a un casus belli un efficace contorno di teoria del complotto è stato Mussolini, nel discorso dell´ottobre 1935 con cui annunciava l´inizio della conquista dell´Etiopia. Sin dai tempi di Adua l´Italia non aveva potuto sottomettere l´Abissinia, paese di antichissima civiltà cristiana che, a modo proprio, cercava di aprirsi alla civiltà occidentale. Il casus belli era stato dato da un incidente di frontiera, che avrebbe potuto risolversi per vie diplomatiche.

Rileggiamo i punti salienti di quel discorso. Anzitutto Mussolini annuncia che «Venti milioni di uomini occupano in questo momento le piazze di tutta Italia... un cuore solo, una volontà sola» e dunque cerca una legittimazione per volontà popolare. In secondo luogo la decisione avviene perché così vuole «la ruota del destino», e cioè gli italiani fanno quello che fanno perché interpretano i decreti del Fato. In terzo luogo la volontà di impossessarsi dell´Etiopia viene presentata come la volontà di opporsi a un furto: i paesi che ci hanno comminato le sanzioni vogliono «toglierci un poco di posto al sole». In verità essi non volevano toglierci una nostra proprietà, si opponevano a che rubassimo quella altrui. Ma ecco che emerge l´appello alla teoria del complotto. Infatti segue un appello alla frustrazione nazionalistica, con la ripresa del tema della vittoria mutilata. Noi abbiamo vinto una guerra mondiale e non abbiamo avuto quello che a cui avevamo diritto (la sindrome del complotto prevede sempre un complesso di persecuzione). Di qui il colpo di scena finale: «con l´Etiopia abbiamo pazientato quarant´anni, ora basta!». In effetti era l´Etiopia che aveva pazientato con noi, poiché noi andavamo a casa sua mentre essa non stava venendo a casa nostra, ma il colpo di scena funziona, la folla esplode in boati di soddisfazione.

Naturalmente la teoria del complotto non è stata usata solo da Mussolini e da Hitler (né soltanto da Berlusconi). Altrettanto preoccupante è la ripresa dei Protocolli e del complotto giudaico per giustificare il terrorismo arabo. Dopo decenni e decenni che i Protocolli sono stati dimostrati un falso, basta visitare tanti siti Internet e controllare la diffusione anche ufficiale che hanno nel mondo arabo.

Ci sono casi in cui il casus belli viene creato ex novo. Mi rifaccio ai testi dei neo conservatori americani, i quali sostengono che gli Stati Uniti, essendo il paese democratico più potente del mondo, hanno non solo il diritto ma anche il dovere di intervenire per garantire la pax americana. Essi sostenevano da tempo che gli USA avessero dato prova di debolezza non portando a termine l´occupazione di tutto l´Iraq. Dopo la tragedia dell´undici settembre, ricordavano che l´unico modo per tenere a freno il fondamentalismo arabo (e per difendere gli interessi americani in Iraq) fosse dare una prova di forza dimostrando che la più grande potenza del mondo era in grado di distruggere i suoi nemici. In una lettera inviata al presidente Clinton nel gennaio 1998 i massimi esponenti del Project for the New American Century, tra i quali Donald Rumsfeld, avvertivano: «La nostra capacità di assicurare che Saddam Hussein non stia producendo armi di distruzione di massa è notevolmente diminuita... Poiché gli ispettori non sono stati in grado di accedere a molti impianti iracheni per un lungo periodo di tempo, è ancora più improbabile che riusciranno a scoprire tutti i segreti di Saddam.... L´unica strategia accettabile è quella di eliminare la possibilità che l´Iraq diventi capace di usare o minacciare. Nel breve periodo questo richiede la disponibilità a intraprendere una campagna militare... «. Il senso del testo è inequivocabile: per proteggere i nostri interessi nel Golfo dobbiamo intervenire; per intervenire bisognerebbe poter provare che Saddam ha armi di distruzione di massa; questo non potrà mai essere provato con sicurezza; quindi interveniamo in ogni modo. La lettera non diceva che le prove dovevano essere inventate, e Clinton nel 1998 non ha cercato di inventarle, ma sei anni dopo, dopo aver ricevuto altre lettere dello stesso tenore, lo ha fatto Bush. Ecco un altro modo di legittimare un atto di forza.

Ma l´ultimo passaggio del discorso mussoliniano esibiva un altro argomento. Per confermare il diritto di conquista italiano ricordava che noi eravamo per eccellenza un popolo di poeti, artisti, eroi, santi e navigatori (come se Shakespeare, i costruttori delle cattedrali gotiche, Giovanna d´Arco e Magellano fossero nati tutti o tra Bergamo e Trapani). L´argomento si può così sintetizzare: «noi abbiamo il diritto di prevaricare perché siamo i migliori». Nella sua retorica da autodidatta Mussolini ignorava un modello, e comunque non avrebbe potuto farvi ricorso, perché rappresentava una lode dell´odiata democrazia. Il modello era il discorso di Pericle quando stava per iniziare la guerra del Peloponneso (riportato da Tucidide). Questo discorso è ed è stato inteso nei secoli come un elogio della democrazia, ed è una descrizione superba di come una nazione possa vivere garantendo la felicità dei propri concittadini, lo scambio delle idee, la libera deliberazione delle leggi, il rispetto delle arti e dell´educazione, la tensione verso l´uguaglianza. Ma questa idealizzazione della democrazia ateniese mirava (si legga il discorso) a legittimare l´egemonia ateniese sulla Grecia e sui paesi vicini.

Però lo stesso Tucidide ci offre un´altra e estrema figura della retorica della prevaricazione, la quale non consiste più nel trovare pretesti e casus belli, ma direttamente nell´affermare la necessità e l´inevitabilità della prevaricazione. Nel corso del loro conflitto con Sparta gli Ateniesi fanno una spedizione contro l´isola di Melo, colonia spartana che era rimasta neutrale. Gli Ateniesi mandano una delegazione ai Meli avvertendoli che non li distruggeranno se essi si sottometteranno. Dicono che non tenteranno di dimostrare che è giusto per loro esercitare la loro egemonia perché hanno sconfitto i Persiani (eppure negandolo lo sostengono), ma invitano i Meli a sottomettersi perché i principi di giustizia sono tenuti in considerazione solo quando un´eguale forza vincola le parti, altrimenti «i potenti fanno quanto è possibile e i deboli si adeguano». I Meli chiedono se non potrebbero restare fuori dal conflitto senza allearsi con nessuno, ma gli Ateniesi ribattono: «No, la vostra amicizia sarebbe prova di una nostra debolezza, mentre il vostro odio lo è della nostra forza». In altri termini: scusate tanto, ma ci conviene più sottomettervi che lasciarvi vivere, così saremo temuti da tutti.

I Meli dicono che confidano negli dèi, ma gli Ateniesi rispondono che tanto l´uomo che la divinità, dovunque hanno potere, lo esercitano, per un insopprimibile impulso della natura. I Meli resistono, per orgoglio e senso della giustizia, l´isola viene conquistata, gli Ateniesi uccidono tutti i maschi adulti e rendono schiavi i fanciulli e le donne.

E´ lecito sospettare che Tucidide, pur rappresentando con onestà intellettuale il conflitto tra giustizia e forza, alla fine convenisse che il realismo politico stesse dalla parte degli Ateniesi. In ogni caso ha messo in scena l´unica vera retorica della prevaricazione, che non cerca giustificazioni fuori di sé. Gli Ateniesi semplicemente fanno un elogio della forza. Persuadono i Meli che la forza non ha bisogno di appoggiarsi alla persuasione.

La storia non sarà altro che una lunga, fedele e puntigliosa imitazione di questo modello, anche se non tutti i prevaricatori avranno il coraggio e la lucidità, come abbiamo visto, dei buoni Ateniesi.

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