«La carne dei nostri nemici sarà buttata ai cani», dice in un allegro filmato l´allegro imam di Cremona. L´imam lo ignora, ma il suo versetto da beccamorto ripete, quasi letteralmente, un verso dell´Iliade. La truculenza dei maschi combattenti è un´antichissima consuetudine della tribù umana. Non è "barbara", come ci piace dire per allontanarla da noi "civili", è semplicemente un tratto feroce e bestiale della nostra etologia di specie. (Un brigatista che spara alla nuca o uno sgherro di Auschwitz valgono il farabutto che decapita l´ostaggio americano. Non esiste in materia, ahimé, una verginità occidentale?).

La differenza, tra oggi e ieri, è che anche la violenza è entrata nell´evo della riproducibilità tecnica, e dunque non la conosciamo sublimata in forme omeriche, ma spiattellata, in video in rete e sui giornali, in tutto il suo abominio etico ed estetico. Questa, rispetto alla storia, è una novità enorme, e potrebbe essere un vantaggio altrettanto enorme, in termini di coscienza, di "spoetizzazione" della guerra. Visibilmente, inoppugnabilmente, l´imam col suo coltellaccio non è un guerriero, ma un miserabile con troppa adrenalina in circolo, e troppi ormoni male indirizzati. Come (quasi) tutti i guerrieri.