Da The New York Times del 07/05/2004

Salvare l´onore dell´America

di Thomas L. Friedman

CORRIAMO il rischio di perdere qualcosa di molto più importante della sola guerra in Iraq. Corriamo il rischio di perdere il ruolo dell´America quale strumento di autorità morale e di ispirazione per il mondo. In tutta la mia vita non sono mai stato testimone di un odio maggiore e più universalmente diffuso nei confronti dell´America e del suo presidente.

Sono appena stato in Giappone e persino i giovani giapponesi manifestano antipatia per noi. Non fa meraviglia che tanti americani oggi si tormentino al pensiero dell´ultima puntata della sitcom Friends. Sono quelli gli ultimi amici che abbiamo, e stanno per lasciarci.

Questa amministrazione deve necessariamente rivedere l´intera politica sull´Iraq, altrimenti attirerà su noi tutti un disastro totale.

Tanto per cominciare il presidente Bush deve silurare il segretario alla difesa Donald Rumsfeld e questo oggi, non domani o il mese prossimo.

Quello che è accaduto nel carcere di Abu Ghraib è stata, nella migliore delle ipotesi, una grave defaillance nella catena di comando capitanata da Rumsfeld o, nella peggiore, parte di una scelta politica deliberata a un qualche livello di comando dell´intelligence militare di infliggere ai prigionieri umiliazioni sessuali per ammorbidirli in vista degli interrogatori, una politica delirante e sanguinaria.

In ogni modo il segretario alla difesa ne è responsabile ultimo e se intendiamo ricostruire la nostra credibilità come strumento di diffusione di valori umanitari, dello Stato di diritto e della democrazia in Iraq o altrove, Bush deve ritenere responsabile il suo segretario alla difesa. Le parole hanno un peso, ma contano di più i fatti. Se i vertici del Pentagono guidassero una qualunque impresa Usa con la pessima programmazione dimostrata in questa guerra, sarebbero già stati licenziati dagli azionisti mesi fa.

So che gli interrogatori duri sono di vitale importanza in una guerra contro un nemico spietato, ma la tortura vera e propria o questa umiliazione sessuale inflitta per diletto è ripugnante. So anche che il genere di abusi praticato nel carcere di Abu Ghraib ha luogo quotidianamente nelle prigioni di tutto il mondo arabo, come fu a suo tempo sotto Saddam, senza che la Lega Araba o Al Jazeera abbiano mai detto una parola. So che sono vergognosamente ipocrite, ma pretendo che il mio paese tenga un comportamento migliore, non solo perché si tratta dell´America ma anche perché la guerra al terrorismo è una guerra di idee e per avere una qualche chance di vittoria dobbiamo mantenere la credibilità delle nostre idee.

Siamo stati colpiti l´11 settembre da individui devoti a idee di odio, idee troppo spesso avallate da alcuni dei loro leader spirituali e dei loro educatori in patria. Non possiamo vincere una guerra di idee contro gente del genere da soli. Solo gli arabi e i musulmani possono riuscirci. Quello che potevamo fare noi, ed è l´unica ragione legittima di questa guerra, era tentare di aiutare gli iracheni a creare un contesto progressista nel cuore del mondo arabo-musulmano in cui potesse essere combattuta tale guerra di idee.

Ma è difficile collaborare con qualcuno quando sei così radioattivo che nessuno vuole starti accanto. Dobbiamo ristabilire una certa atmosfera di collaborazione con il mondo se intendiamo avviare una fattiva collaborazione con gli iracheni

Bush deve invitare a Camp David i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell´Onu, i vertici della Nato e delle Nazioni Unite, nonché i leader di Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Siria. In quell´occasione dovrà ingoiare il rospo, chiedere scusa per i suoi errori e dichiarare che ha intenzione di voltar pagina. In secondo luogo, dovrà spiegare che in Iraq stiamo perdendo e che se continueremo a perdere l´opinione pubblica americana chiederà il ritiro delle truppe. L´Iraq si tramuterà allora in un Afghanistan sotto steroidi, che rappresenterà una minaccia per tutti. In terzo luogo Bush dovrà dire che formerà il nuovo governo di transizione a Bagdad secondo le indicazioni dell´Onu. Quarto, dovrà spiegare che è pronto a recepire tutti i suggerimenti su come espandere la presenza militare americana in Iraq e farla agire sotto un nuovo mandato Onu, in modo che abbia la legittimità necessaria a stroncare qualsiasi insurrezione contro il governo iracheno ad interim, a vigilare sullo svolgimento delle elezioni e quindi a lasciare il paese, quando sarà il momento. E dovrà invitare tutti ad unirsi all´impresa.

Va tenuta sempre presente una cosa. Per quanto difficile appaia la situazione in Iraq, tutto non è ancora perduto per una ragione molto importante: le aspirazioni dell´America e quelle della maggioranza silenziosa degli iracheni, sciiti e curdi in particolare, circa il futuro del paese sono ancora sulla stessa linea. Entrambi auspichiamo l´autogoverno da parte degli iracheni e, in seguito, libere elezioni. Questa coincidenza di interessi, per quanto offuscata, può ancora recuperare qualcosa di accettabile da questa guerra, se il team di Bush riuscirà infine a trovare il coraggio di ammettere i propri errori e di cambiare drasticamente rotta.

È vero, è tardi, ma finché ci sarà un briciolo di speranza che questa amministrazione faccia la cosa giusta, dobbiamo insistere, perché il ruolo dell´America nel mondo è troppo prezioso, per l´America e per il resto del mondo, per essere sciupato in questo modo.
Annotazioni − Traduzione di Emilia Benghi

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