Da Corriere della Sera del 24/04/2004

La sfida

Il radicale al Sadr: pronti 10 mila kamikaze

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Per tradizione gli aspiranti «martiri» della guerra santa indossano un lungo scialle bianco. E ieri Moqtada al Sadr se ne era avvolto uno, visibilissimo. «Guai a voi se cercherete di entrare con la forza nelle nostre città sante. Guai a voi se attaccherete Najaf! Vi lanceremo contro cento, mille, diecimila kamikaze. Perché i volontari sono tantissimi. Donne e uomini mi hanno chiesto l'onore di essere sulla lista dei martiri pronti a farsi saltare in aria contro le vostre truppe. Saremo come tante bombe a scoppio ritardato sulle vostre facce» ha tuonato l'imam estremista dal podio della moschea di Kufa, la sua roccaforte a una decina di chilometri da Najaf.

Una settimana fa Moqtada era sembrato disposto a trattare, addirittura aveva fatto credere di essere pronto a smantellare le brigate Al-Mahdi, la sua milizia che da tre settimane si batte contro le truppe Usa. Ma ora cambia tono. Dalla distensione allo scontro, dalla ricerca di un ruolo politico nell'Iraq del futuro al rilancio della sfida diretta contro gli americani. Tutto lascia credere che si senta forte, imbattibile.

Ancora un mese fa questo giovane (32 anni) leader estremista faticava a farsi sentire nel mondo degli sciiti iracheni. Il suo carisma derivava dalla figura del padre, leader spirituale e studioso dell'Islam assassinato con altri due figli nel 1999 dalla polizia di Saddam Hussein. Giocava a fare l'oltranzista e si scontrava con le forze molto più moderate che sostengono l'anziano Alì Al Sistani, l'ayatollah che pur con alti e bassi accetta il dialogo con gli americani

Ma le violenze degli ultimi giorni hanno rivoluzionato la situazione in Iraq e i rapporti di forza in casa sciita. Ora sono gli stessi dirigenti americani in Iraq ad ammettere che la decisione di chiudere il piccolo settimanale di Moqtada (meno di 10.000 copie) è stata una iniziativa pessima, controproducente, che ha generato un'ondata di sommosse impreviste. Oggi Moqtada è più popolare che mai.

Due settimana fa, i comandi Usa avevano dichiarato di volerlo prendere «vivo o morto». E lui si è trincerato tra Kufa e Najaf. Più lo stallo si prolunga e più Moqtada guadagna punti. Al Sistani - che pure teme il suo fondamentalismo, la strumentalizzazione che fa della religione per scopi politici, la crescita dei suoi seguaci tra le masse disilluse dai fallimenti del dopoguerra - ora dice pubblicamente agli americani che «attaccare Najaf sarebbe superare una linea rossa». A Teheran il portavoce del Parlamento, Mehdi Karrubi, rincara la dose e avverte che tutto il mondo musulmano scenderebbe in piazza a difendere «i luoghi santi sciiti». E circa 2.500 soldati americani restano impantanati attorno a Najaf, in attesa di ordini che diventano sempre più difficili da impartire. Ieri, a Karbala, un soldato bulgaro è stato ucciso in un agguato.

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