Da Corriere della Sera del 24/04/2004
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/04_Aprile/24/dossier_si...

Sul tavolo del governo il rapporto dei servizi di sicurezza

Gli errori Usa, i pericoli per gli alleati. Ecco il dossier dell'Italia sull'Iraq

Nuovi attentati e azioni di guerriglia sono prevedibili dentro e fuori dal Paese. Nel mirino i carabinieri

di Giovanni Bianconi, Fiorenza Sarzanini

ROMA - Ci sono gli errori commessi a ripetizione dagli Stati Uniti, prima e dopo la guerra, dietro la situazione irachena che appare ogni giorno più critica. Uno scenario nel quale agiscono formazioni guerrigliere e terroristiche distinte in tre diversi livelli e dove il pericolo di nuovi attacchi contro gli alleati degli Usa è più alto che in passato. Gli errori di valutazione e strategia commessi dagli americani, infatti, non coinvolgono solo le forze statunitensi sul campo, ma generano «una forza sinergica "a rischio" sia per le truppe della Coalizione stanziate in Iraq, sia per la sicurezza interna dei singoli Paesi membri dell’alleanza». Italia compresa. La fotografia scattata a un anno dalla fine ufficiale del conflitto è contenuta in un’analisi dell’ intelligence italiana inviata al governo per illustrare lo scenario in cui si muovono i militari spediti in Iraq e le possibili ripercussioni sul territorio nazionale. Il dossier riservato consegnato alla presidenza del Consiglio e ai ministri competenti (Interno, Esteri, Difesa) offre anche un’interpretazione della crisi degli ostaggi tuttora in corso.

«Il rapimento di cittadini giapponesi e, da ultimo, il sequestro e l’uccisione di cittadini italiani - riferiscono i Servizi di sicurezza -, per i quali era stata posta come unica condizione il ritiro delle rispettive truppe dal Paese, sembrano confermare le linee di intervento strategico-politico della galassia del terrorismo islamico coagulata attorno ad Al Qaeda». Gli ostaggi vengono dunque inseriti nel contesto della presenza degli uomini di Bin Laden in terra irachena, al pari degli attentati di Madrid «e quelli ipotizzati contro gli altri partner della coalizione, che esprimerebbero una strategia politica di pressione su vari governi finalizzata a provocare, sulla spinta di una forte reazione popolare interna, la decisione di ritirare l’uno dopo l’altro, come le tessere di un "domino", i propri contingenti dall’Iraq».

Nuovi attentati e azioni di guerriglia sono dunque prevedibili, dentro e fuori dal Paese, in conseguenza di una crisi aggravata dalla sua cattiva gestione da parte degli Usa che nel «dopoguerra» hanno visto triplicare il numero delle loro vittime rispetto ai giorni dei combattimenti «ufficiali»: 138 morti dal 20 marzo al 30 aprile 2003, e 416 (più 2.600 feriti) da allora fino all’8 marzo 2004. L’ intelligence riferisce il parere di «esperti» che definiscono «inadeguato» l’approccio dell’amministrazione Usa, dal quale «traspare una certa sottostima dell’impatto che l’opposizione armata potrebbe avere sul medio-lungo periodo», così come «una sottovalutazione della reale portata della guerriglia».

Per la «messa in sicurezza» dell’Iraq post-bellico, «la Coalizione aveva previsto l’impiego delle forze di polizia irachene contando sul fatto che, con il crollo del regime, queste sarebbero tornate in servizio. Ma con le diserzioni di massa e la dissoluzione dell’esercito, ad opera degli Stati Uniti, ci si è trovati dinanzi a un pericoloso vuoto che la Coalizione non è stata in grado di gestire nell’immediato». A questo va aggiunto che «il mancato ripristino delle infrastrutture di base e dei servizi fondamentali da parte delle truppe della Coalizione ha dato una "pessima immagine" alla popolazione locale delle possibilità o della volontà americana di ricostruire effettivamente il Paese».

Secondo l’ intelligence italiana, le Forze Armate irachene dovevano essere utilizzate come «attore in grado di garantire e mantenere l’integrità della nazione, tenendo sotto controllo le forze centrifughe indipendentiste dei curdi e, in parte, degli sciiti». Poi però è successo qualcosa: «Nonostante alcuni generali abbiano segretamente trattato la resa, facilitando la caduta di Bagdad e la fine del regime, gli Stati Uniti hanno unilateralmente deciso per lo smantellamento dell’intero apparato delle Forze Armate irachene. È stato un caso unico nel suo genere e riconosciuto, da qualificati analisti, come un errore fondamentale», che peraltro «ha rappresentato uno dei motivi di attrito tra la coalizione e alcuni rappresentanti del nuovo governo iracheno».

Nel Paese liberato dalla dittatura di Saddam Hussein agisce una «galassia terroristica» che viene suddivisa in tre livelli. Il primo è costituito da «gruppi o associazioni criminali locali la cui attività armata è legata al controllo del territorio, per la gestione del traffico di droga o di armi», che avrebbero reclutato almeno parte dei 30.000 detenuti liberati dall’amnistia generale concessa da Saddam nell’ottobre 2002. Un vero e proprio esercito, che insieme con i trafficanti di droga, armi e immigrati clandestini «costituisce oggi la colonna portante di uno dei rami dell’attività terroristica in Iraq».

Il secondo livello è formato da «elementi del partito Baath, membri dei servizi di sicurezza, ufficiali di medio livello della Guardia repubblicana, che cercano di ritagliarsi propri spazi di potere, approfittando della situazione caotica del Paese».

Si tratta di uomini rimasti fedeli al vecchio regime e alla sua ideologia che stando alle informazioni raccolte sono «organizzati su base regionale, articolati in cellule e conducono una classica forma di guerriglia ad alta intensità». Infine c’è il terzo livello costituito dagli integralisti islamici, «sia sunniti che sciiti, organizzati in gruppi di combattimento stranieri, alla ricerca di un nuovo territorio su cui operare e rifugiarsi all’indomani della chiusura del Sudan e della caduta dell’Afghanistan dei Talebani». I gruppi dei primi due livelli potrebbero cercare e trovare da un lato «rapporti di correlazione con gruppi mafiosi dei Paesi europei, balcanici, turchi e russi», e dall’altro «legami con alcuni gruppi politici eversivi occidentali». Le formazioni islamiche sono classificate come pericolo più elevato anche perché mettono in atto la tecnica dell’attacco suicida.

E a proposito di attacchi alle truppe in campo, l’analisi dell’intelligence non volge certo all’ottimismo. «Il rischio di attentati al contingente italiano - si legge nel dossier - sul modello di quello organizzato a Nassiriya, è da ritenersi sempre più probabile, non solo contro installazioni militari, sebbene queste registrino l’aumento delle difese passive, ma anche e soprattutto contro reparti in perlustrazione o impiegati in operazioni di carattere umanitario». Ai governanti impegnati nella gestione del ruolo dell’Italia nella crisi irachena viene offerto anche un esempio: «Un bersaglio facilmente raggiungibile potrebbero essere i carabinieri impiegati a difesa dei siti archeologici».

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