Da Corriere della Sera del 23/04/2004

La Casa Bianca cambia rotta e richiama gli ex del regime

Generale Usa: «Le forze irachene sono infestate da disertori e spie» La Polonia è pronta a restare fino a gennaio, ma non scioglie le riserve

di Ennio Caretto

WASHINGTON - «Occorre bilanciare il bisogno di giustizia col bisogno di esperienza e professionalità del governo. Stiamo perciò riesaminando la politica di esclusione dei baathisti dalla ricostruzione dell'Iraq». Con queste parole, il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan conferma che per facilitare il passaggio dei poteri agli iracheni il 30 giugno l'America recupererà una parte dei quadri dirigenti di Saddam Hussein, quella meno compromessa col deposto regime. E' una svolta cruciale e rischiosa, che riguarda anche le strutture militari. Parlando da Bagdad, il generale Martin Dempsey della Prima divisione motocorazzata ammonisce che negli ultimi scontri circa il 40 per cento delle forze di sicurezza irachene ha rifiutato di combattere e il 10 per cento - «infiltrati» li definisce - si è rivoltato. Ma ammette anche che l'occupazione Usa in Iraq incontra un «consenso calante» e che a un certo punto «non verrà più accettata». Conclude: «Stiamo cercando di stabilire quando raggiungeremo quel punto».

La decisione di revocare il decreto con cui un anno fa il governatore Paul Bremer precluse il governo e le forze armate ai baathisti è dovuta anche al ritiro della Spagna, dell'Honduras e della Repubblica Dominicana dall'Iraq, e al rischio che altri ne seguano esempio. Il presidente ucraino Leonid Kuchma assicura che le sue truppe «rimarranno fino in fondo, non fuggiranno», mentre il ministro della Difesa polacco Jerry Szmajdzinski promette di restare «fino alle elezioni del gennaio 2005». Ma è una promessa ambigua: il ministro aggiunge che dal 30 giugno prossimo il ruolo della Polonia «dipenderà dal processo politico, dall'eventuale ruolo dell'Onu e dal governo iracheno». E' ambigua anche la posizione della Danimarca, che ricorda che al passaggio dei poteri dovrebbe fare solo da «consulente alla polizia». E della Svezia, che da un lato sembra disponibile a fornire uomini a una forza multinazionale, ma dall'altra giudica «difficile che il primo luglio ci sia un governo iracheno» (il premier Goran Persson).

Quali e quanti baathisti saliranno ai vertici del nuovo Iraq la Casa bianca non lo dice. Il sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz insiste sulla formazione di un corpo di polizia «leale ed efficiente». Il New York Times dà per certo che nelle scuole e nelle università riprenderanno a insegnare oltre 11 mila degli insegnanti licenziati. E' una corsa contro il tempo a restituire l'Iraq al suo popolo che l'America non può perdere. Il regime di Saddam Hussein si basava su un milione e mezzo di baathisti, in maggioranza sunniti, un'etnia privilegiata rispetto agli sciiti e ai curdi. Il loro parziale recupero, auspicato anche da Lakhdar Brahimi, l'emissario del segretario dell'Onu Kofi Annan a Bagdad, avverrà soltanto dopo che gli interessati avranno passato l’esame della Cia e del Pentagono.

La Casa Bianca spera in questo modo di non dover mandare molte più truppe in Iraq, sebbene il ministro degli Esteri britannico Jack Straw annunci che «il numero dei militari è sotto revisione», cioè che la Gran Bretagna potrebbe aumentare gli effettivi. Ma Wolfowitz precisa che nel periodo della transizione «la sovranità irachena sarà limitata». Spiega che «la polizia, ad esempio, non sarà indipendente» ma che «si coordinerà con il nostro comando centrale, che manterrà il controllo di tutta la sicurezza, come previsto dalle leggi in vigore a Bagdad e dall'Onu».

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