Da Corriere della Sera del 18/04/2004

Le scelte del premier

Il rullo compressore di Sharon

di Guido Olimpio

Le telecamere di Al Jazira fanno vedere tutto. L’operatore entra nel pronto soccorso e filma un corpo ferito disteso su un lettino, si sofferma sui tentativi frenetici dei dottori attorno all’uomo, indugia sull’infermiere che gli mette la maschera ad ossigeno. Poi si sposta nel corridoio per riprendere un altro uomo sfigurato. Sono Abdel Aziz Rantisi, il capo di Hamas per i territori, e una delle sue guardie del corpo, uccise dall'ultimo omicidio mirato di Israele. Sono immagini crude captate in tutto il Medio Oriente. Dalla Porta di Hormuz alle stradine di Falluja, in Iraq. Immagini di un conflitto che non ha più confini, con la lunga lista di morti a rendere così vicine le crisi.

Rantisi, che già era sopravvissuto ad un attacco, era da tempo un «uomo segnato». E lo era diventato ancora di più alla fine di marzo quando era stato nominato alla testa del movimento islamico Hamas in sostituzione del leader spirituale, lo sceicco Ahmed Yassin incenerito anche lui in un agguato degli elicotteri israeliani. Assumendo la direzione del gruppo aveva lanciato messaggi bellicosi: «Vendicheremo l'uccisione di Yassin colpendo il premier israeliano Sharon». Ma sono trascorse le settimane e gli estremisti islamici non sono riusciti nel loro intento. Hanno provato ad organizzare diversi attentati. L'ultimo ieri al posto di frontiera di Erez. Ma la gran parte delle operazioni sono state impedite da un apparato militare spaventoso e dal blocco totale dei territori palestinesi. Inoltre l'ala terroristica, le Brigate Ezzedine Al Kassam, ha visto le sue cellule decimate dalle azioni mirate. Cecchini, missili dagli elicotteri, bombe nelle macchine. Tutto quello che gli 007 potevano usare lo hanno usato.

Israele ha incrementato la guerra preventiva dopo un attentato kamikaze nel cuore di Gerusalemme e la strage al porto di Ashdod (12 morti). Una lotta senza quartiere contro i dirigenti, senza fare distinzioni tra braccio politico e militare. Sono caduti sotto il fuoco quadri intermedi, artificieri, arruolatori di kamikaze, membri del politburo. Infine è toccato al fondatore Yassin. La caccia agli estremisti ha numeri impressionati: 91 palestinesi uccisi nel solo mese di marzo, 21 fino al 16 aprile. Molti erano militanti, ma non erano pochi i civili innocenti.

Un terrificante rullo compressore, accompagnato da una manovra diplomatica ad ampio spettro, con obiettivi evidenti: 1) Decapitare i gruppi islamici e demolire l'apparato militare. 2) Frammentare i movimenti palestinesi. 3) Debilitare la realtà palestinese a Gaza prima dell'annunciato ritiro. 4) Mettere sul tavolo la rimozione o l'uccisione di Yasser Arafat. 5) Impedire il nascere di una coalizione tra religiosi di Hamas e i laici del Fatah.

Il premier Sharon ha sfruttato, con la celebre capacità tattica, il momento internazionale. Gli attentati di Madrid e il dramma degli ostaggi in Iraq - è cinico dirlo ma è la verità - hanno favorito l'eliminazione di Rantisi, un capo che non ha mai preso le distanze dagli uomini-bomba. Israele ha quindi beneficiato dell'appoggio chiaro e determinato di Washington nel cosiddetto piano di disimpegno dai territori. La recente missione di Sharon alla Casa Bianca si è chiusa con un evidente successo per lo Stato ebraico ed un rovescio pesante per l'Autorità palestinese. Una scelta di campo netta che ha portato molti critici a sostenere che gli Usa non sono più un «arbitro equo» per mediare tra i due eterni nemici. Un allineamento alle posizioni israeliane che rafforza in Medio Oriente l'immagine del patto di ferro Israele-Stati Uniti. Anzi per molti sono una cosa sola.

Tra questi c'è Osama Bin Laden e i tanti jihadisti che si battono dal Marocco all'Iraq. Nell'ultimo messaggio audio, il capo di Al Qaeda ha ribadito che il suo gruppo vendicherà la morte di Yassin e lo farà colpendo obiettivi americani. Minacce prese sul serio dagli esperti di intelligence. Hamas, sfiancata dalle rappresaglie e privata dei suoi leader, potrebbe cercare un aiuto esterno proprio nei gruppi della cosiddetta Jihad internazionale. Sarebbe una sconfessione della sua linea nazionalista, ma oggi non c'è più tempo per conservare i dogmi. Ciò che conta è colpire.

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