Da Corriere della Sera del 11/04/2004
Abu Ghraib, 100 guerriglieri e caccia Usa pronti a colpire
L’imam: possiamo liberarli in cambio del vice di Al-Sadr
Il nostro ambasciatore: i 180 connazionali sono tutti presenti, non sono arrivate segnalazioni di persone scomparse
di Lorenzo Cremonesi
BAGDAD - Una moschea povera, posta in un edificio basso, dove il minareto si distingue appena dal resto delle abitazioni. E’ qui che due giorni fa sarebbero stati visti da un fotografo iracheno della Reuters due dei 4 occidentali presentati come italiani. «E’ una moschea tipicamente sciita, la chiamiamo Hussaniya. Attorno ci sono tra i 70 e i 100 guerriglieri armati di bazooka e mitragliatori pesanti. Si sono presentati come membri delle brigate Al-Mahdi, la milizia agli ordini di Moqtada Al-Sadr. Uomini decisi a tutto e pronti a combattere gli americani che hanno accerchiato la zona», racconta il collaboratore locale del Corriere della Sera che ieri è arrivato a al-Dahab al-Abyad, il villaggio alle porte di Abu Ghraib (una trentina di chilometri a ovest di Bagdad) dove si troverebbero gli ostaggi.
L’imam locale pone una condizione molto semplice per il loro rilascio. «Stiamo catturando il massimo numero di occidentali possibile. Li libereremo solo se gli americani rilasceranno Mustafà Yacoobi», dice riferendosi al braccio destro di Moqtada, arrestato un mese fa dalle truppe della coalizione. La situazione attorno si sta facendo tesissima. I caccia e gli elicotteri Usa sorvolano la zona pronti a colpire. I carri armati sono in posizione di tiro.
Ma il mistero rimane: gli ostaggi sono italiani? «Non lo crediamo. Ho verificato, confrontando le mie liste con quelle della Farnesina. Ho fatto i conti: tra i 30 e 50 italiani che lavorano per l’autorità di governo guidata dagli Usa; una ventina di giornalisti; circa 40 tra diplomatici, carabinieri e impiegati alla rappresentanza di Bagdad; una cinquantina tra medici, amministrativi e infermieri all’ospedale della Croce Rossa; e un numero imprecisato di guardie del corpo al servizio di privati. Forse una ventina. In tutto circa 180 italiani in Iraq. Oltre ai circa 3.000 uomini del contingente militare a Nassiriya. Non manca nessuno. E non ho ricevuto segnalazioni di scomparsi», dice l’ambasciatore Gianluigi De Martino. Il diplomatico nella sua ricerca ha scoperto che una quindicina di connazionali non si erano registrati all’ambasciata e ha aggiornato le liste. Con un appello. «Chiedo a ogni italiano in Iraq di venire da noi. E di segnalare i suoi spostamenti. Anche con un messaggio e-mail: delegazione.bagdad@esteri.it ».
Dunque è stato un errore? O qualcuno degli occidentali catturati, magari di nazionalità più «a rischio» come quelle americana e inglese, davanti ai guerriglieri si è finto italiano? Qui sono in molti a crederlo. Senza dimenticare, tuttavia, la possibilità che i rapiti possano essere guardie del corpo assunte da società straniere. Ex soldati dei gruppi scelti, 007 in pensione, uomini che hanno fatto delle armi la loro professione e lavorano nell’anonimato. In Iraq c’è una agenzia di questo tipo totalmente made in Italy, sebbene per motivi fiscali sia registrata alle Seychelles. E’ la «Presidium International Corporation», diretta da Salvatore Stefio, siciliano di 34 anni. «In Iraq operiamo in una decina di guardie del corpo», dice Stefio nella lobby dell’hotel Babil a Bagdad. Lui tra un paio di giorni tornerà in Italia. Ma i suoi agenti restano. Detestano essere definiti «mercenari» o «guerrieri di ventura». «Noi siamo operatori della sicurezza. Un mestiere come un altro, che necessita di addestramento continuo e professionalità. Specie in posti rischiosi come questo», aggiunge.
Anche loro si sono contati quando è arrivata la notizia del rapimento. E hanno telefonato ai colleghi assunti da agenzie straniere, prima tra tutte l’americana «Dyncorp». Ma non hanno scoperto nulla. Eppure Stefio non vuole trarre conclusioni. «Il nostro è un mondo appartato, fondato sulla segretezza. Non escludo che gli ostaggi siano free lance. Guardie del corpo che lavorano per il miglior offerente, anche con contratti di breve periodo. L’Iraq oggi è ricco di offerte simili, pagate molto bene. Ma spesso questi agenti sono poco addestrati, male equipaggiati e facile preda di milizie e banditi». Secondo lui i particolari emersi sugli ostaggi alla moschea vicino a Abu Ghraib fanno pensare a «pivellini», «gente alle prime armi».
L’imam locale pone una condizione molto semplice per il loro rilascio. «Stiamo catturando il massimo numero di occidentali possibile. Li libereremo solo se gli americani rilasceranno Mustafà Yacoobi», dice riferendosi al braccio destro di Moqtada, arrestato un mese fa dalle truppe della coalizione. La situazione attorno si sta facendo tesissima. I caccia e gli elicotteri Usa sorvolano la zona pronti a colpire. I carri armati sono in posizione di tiro.
Ma il mistero rimane: gli ostaggi sono italiani? «Non lo crediamo. Ho verificato, confrontando le mie liste con quelle della Farnesina. Ho fatto i conti: tra i 30 e 50 italiani che lavorano per l’autorità di governo guidata dagli Usa; una ventina di giornalisti; circa 40 tra diplomatici, carabinieri e impiegati alla rappresentanza di Bagdad; una cinquantina tra medici, amministrativi e infermieri all’ospedale della Croce Rossa; e un numero imprecisato di guardie del corpo al servizio di privati. Forse una ventina. In tutto circa 180 italiani in Iraq. Oltre ai circa 3.000 uomini del contingente militare a Nassiriya. Non manca nessuno. E non ho ricevuto segnalazioni di scomparsi», dice l’ambasciatore Gianluigi De Martino. Il diplomatico nella sua ricerca ha scoperto che una quindicina di connazionali non si erano registrati all’ambasciata e ha aggiornato le liste. Con un appello. «Chiedo a ogni italiano in Iraq di venire da noi. E di segnalare i suoi spostamenti. Anche con un messaggio e-mail: delegazione.bagdad@esteri.it ».
Dunque è stato un errore? O qualcuno degli occidentali catturati, magari di nazionalità più «a rischio» come quelle americana e inglese, davanti ai guerriglieri si è finto italiano? Qui sono in molti a crederlo. Senza dimenticare, tuttavia, la possibilità che i rapiti possano essere guardie del corpo assunte da società straniere. Ex soldati dei gruppi scelti, 007 in pensione, uomini che hanno fatto delle armi la loro professione e lavorano nell’anonimato. In Iraq c’è una agenzia di questo tipo totalmente made in Italy, sebbene per motivi fiscali sia registrata alle Seychelles. E’ la «Presidium International Corporation», diretta da Salvatore Stefio, siciliano di 34 anni. «In Iraq operiamo in una decina di guardie del corpo», dice Stefio nella lobby dell’hotel Babil a Bagdad. Lui tra un paio di giorni tornerà in Italia. Ma i suoi agenti restano. Detestano essere definiti «mercenari» o «guerrieri di ventura». «Noi siamo operatori della sicurezza. Un mestiere come un altro, che necessita di addestramento continuo e professionalità. Specie in posti rischiosi come questo», aggiunge.
Anche loro si sono contati quando è arrivata la notizia del rapimento. E hanno telefonato ai colleghi assunti da agenzie straniere, prima tra tutte l’americana «Dyncorp». Ma non hanno scoperto nulla. Eppure Stefio non vuole trarre conclusioni. «Il nostro è un mondo appartato, fondato sulla segretezza. Non escludo che gli ostaggi siano free lance. Guardie del corpo che lavorano per il miglior offerente, anche con contratti di breve periodo. L’Iraq oggi è ricco di offerte simili, pagate molto bene. Ma spesso questi agenti sono poco addestrati, male equipaggiati e facile preda di milizie e banditi». Secondo lui i particolari emersi sugli ostaggi alla moschea vicino a Abu Ghraib fanno pensare a «pivellini», «gente alle prime armi».
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