Da Corriere della Sera del 09/04/2004
«Via subito le bande armate da Nassiriya»
Ultimatum della governatrice Contini: basta trattative. Tregua scaduta, segni di ritirata tra i gruppi ribelli
di Lorenzo Cremonesi
BAGDAD - Da giorni trattava con Aus Al Kharfaji, l’uomo forte del leader fondamentalista Moqtada al Sadr a Nassiriya. E nelle ultime ore Barbara Contini aveva cambiato i toni: «Basta. Fuori subito le bande armate dalle strade, altrimenti è guerra». Poco dopo l’una di ieri notte, quando la tregua tra i nostri militari e i miliziani iracheni era cessata da pochi minuti e qualche colpo di mortaio era già volato verso la sede dell’autorità provvisoria, è sembrato che Kharfaji stesse cedendo. A Nassiriya è circolata la notizia che aveva ordinato ai suoi di uscire per le strade con dei megafoni per invitare i miliziani a ritirarsi. Proprio quando per i nostri soldati stava scattando l’allarme rosso.
Tutto era iniziato alle 6 del pomeriggio: nell’ufficio del governatorato di Nassiriya la presidente dell’autorità provvisoria, Barbara Contini, presenta il suo ultimatum a Kharfaji, l’iracheno che da oltre 40 giorni, inclusi gli ultimi 5 di grave crisi, ha accettato e cercato il dialogo con le autorità italiane. «Se non vi ritirate saranno guai - dice Contini -. I comandi del contingente italiano stanno consultando i vertici militari britannici per pianificare le operazioni belliche e i pattugliamenti in Nassiriya città e in tutta la regione di Dhi Qar». Kharfaji ha chiesto altre 24 ore. La Contini ha risposto: «No».
L’atmosfera in città era pesante. Barbara Contini è ormai barricata nella palazzina dell’autorità provvisoria, alla periferia della città. Da lì due giorni fa spiegava: «Sto trattando con i rappresentanti di Moqtada, penso sia la via più ragionevole». Poi è arrivata la notizia che gli statunitensi sono stanchi di aspettare, che intendono usare il pugno di ferro contro ogni focolaio di rivolta. «Ho fatto evacuare gli ultimi 5 civili italiani, inglesi e americani che erano con me - ha spiegato la Contini -. Sono al sicuro nelle basi di Tallil, fuori città. A Nassiriya resto io con 70 soldati italiani». Pronta a trascorrere notti che si annunciano interminabili. «Di giorno non accade quasi nulla - racconta -. Anzi, pare tutto normale. Ma la notte è difficile, specie prima dell’alba. E poi domani (oggi , ndr ) è il primo anniversario della caduta di Bagdad. La nostra intelligence segnala che potrebbero esserci scontri, attentati e proteste violente».
La Contini non pensa, come gli americani, che i rivoltosi siano «un piccolo manipolo di fuorilegge isolati dalla popolazione». A Nassiriya e provincia sono scese in campo forze diverse, variegate, a volte in lotta tra loro. E gli uomini di Moqtada sono tanti. «Almeno 100 mila sul milione e 600 mila abitanti della città. Sono il gruppo più forte, in competizione con gli esponenti più moderati di al-Dawa, i seguaci di al-Sistani, e con le tribù dove la legge del sangue è più importante di quella religiosa». Ma il vero problema, spiega, non sono Kharfaji e i suoi seguaci, quanto i guerriglieri iraniani infiltrati di recente con il compito di impedire la normalizzazione. «Non sappiamo di preciso quanti sono, forse decine. Ma ben organizzati: con covi, armi e finanziamenti. Li studiamo: sono esperti nell’arte di provocare attentati». Poi ci sono i banditi: «Mafie del crimine prive di piattaforme politiche, anche se a volte si danno un alibi religioso. Tribù dedite per tradizione al brigantaggio e che dalla caduta di Saddam si sentono più libere di colpire. Per contrastarle lavoro con 38 capi tribù, cerco di mobilitarli contro i violenti. L’ho detto anche a Kharfaji: se torna la violenza ne farai le spese, gli iracheni sono stanchi di battersi».
Da oggi i nostri soldati dovrebbero ricominciare a pattugliare la città assieme alle polizia irachena.
Tutto era iniziato alle 6 del pomeriggio: nell’ufficio del governatorato di Nassiriya la presidente dell’autorità provvisoria, Barbara Contini, presenta il suo ultimatum a Kharfaji, l’iracheno che da oltre 40 giorni, inclusi gli ultimi 5 di grave crisi, ha accettato e cercato il dialogo con le autorità italiane. «Se non vi ritirate saranno guai - dice Contini -. I comandi del contingente italiano stanno consultando i vertici militari britannici per pianificare le operazioni belliche e i pattugliamenti in Nassiriya città e in tutta la regione di Dhi Qar». Kharfaji ha chiesto altre 24 ore. La Contini ha risposto: «No».
L’atmosfera in città era pesante. Barbara Contini è ormai barricata nella palazzina dell’autorità provvisoria, alla periferia della città. Da lì due giorni fa spiegava: «Sto trattando con i rappresentanti di Moqtada, penso sia la via più ragionevole». Poi è arrivata la notizia che gli statunitensi sono stanchi di aspettare, che intendono usare il pugno di ferro contro ogni focolaio di rivolta. «Ho fatto evacuare gli ultimi 5 civili italiani, inglesi e americani che erano con me - ha spiegato la Contini -. Sono al sicuro nelle basi di Tallil, fuori città. A Nassiriya resto io con 70 soldati italiani». Pronta a trascorrere notti che si annunciano interminabili. «Di giorno non accade quasi nulla - racconta -. Anzi, pare tutto normale. Ma la notte è difficile, specie prima dell’alba. E poi domani (oggi , ndr ) è il primo anniversario della caduta di Bagdad. La nostra intelligence segnala che potrebbero esserci scontri, attentati e proteste violente».
La Contini non pensa, come gli americani, che i rivoltosi siano «un piccolo manipolo di fuorilegge isolati dalla popolazione». A Nassiriya e provincia sono scese in campo forze diverse, variegate, a volte in lotta tra loro. E gli uomini di Moqtada sono tanti. «Almeno 100 mila sul milione e 600 mila abitanti della città. Sono il gruppo più forte, in competizione con gli esponenti più moderati di al-Dawa, i seguaci di al-Sistani, e con le tribù dove la legge del sangue è più importante di quella religiosa». Ma il vero problema, spiega, non sono Kharfaji e i suoi seguaci, quanto i guerriglieri iraniani infiltrati di recente con il compito di impedire la normalizzazione. «Non sappiamo di preciso quanti sono, forse decine. Ma ben organizzati: con covi, armi e finanziamenti. Li studiamo: sono esperti nell’arte di provocare attentati». Poi ci sono i banditi: «Mafie del crimine prive di piattaforme politiche, anche se a volte si danno un alibi religioso. Tribù dedite per tradizione al brigantaggio e che dalla caduta di Saddam si sentono più libere di colpire. Per contrastarle lavoro con 38 capi tribù, cerco di mobilitarli contro i violenti. L’ho detto anche a Kharfaji: se torna la violenza ne farai le spese, gli iracheni sono stanchi di battersi».
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