Da Il Manifesto del 06/04/2004

Politica o quasi

Il teorema della prevenzione

di Ida Dominijanni

Con la retata antiterrorismo che venerdì scorso ha passato al setaccio 161 extracomunitari «sospetti di gravitare in aree integraliste», l'aggettivo «preventivo» versione Usa 2002 è entrato a far parte del lessico politico-giudiziario-poliziesco italiano e l'ombra di Minority Report si aggira anche sotto i nostri cieli. Non c'è da rallegrarsene, e non solo per lo schiaffo alle garanzie dello stato di diritto e per la caduta nella politica-spettacolo preelettorale che la brillante iniziativa del ministro degli interni comporta. Un intero grappolo di significati si va ormai addensando nella parola d'ordine della «prevenzione», e un intero grappolo di comportamenti sociali, politici, culturali ne derivano di conseguenza. A cominciare dalla forma logica che la sequenza «preventiva» adotta, quale che sia il suo campo di applicazione. Riprendiamola dal testo-principe della filosofia preventiva, la National Security Strategy con cui l'amministrazione Bush siglò nell'autunno del 2002 il passaggio dall'era della deterrenza a quella della pre-emptive war: « Maggiore è la minaccia, maggiore è il rischio dell'inattività - e più impellenti le argomentazioni in favore di un'azione preventiva di difesa, pur in presenza di un'incertezza riguardo al tempo e al luogo dell'attacco nemico». Significa, alla lettera, che basta l'idea, anzi l'immaginazione, di un «pericolo imminente» non meglio determinato, per difendersene attaccando. Per dirlo con le parole di Paola Masi, nell'ultimo numero della rivista Dwf tempestivamente dedicato all' Algebra della prevenzione, «la capacità previsionale della legge scientifica e dell'analisi politica si trasforma in una teoria dell'ineluttabile. L'"ineluttabile" produce sequenze coatte e traiettorie univoche: attentato, nemico, guerra; sintomo, patologia, intervento. La rapidità della risposta diventa più importante della sua adeguatezza». Un attentato terroristico in Italia è più omeno ineluttabile, si dice, dunque via alle maxiretate. Ma l'algebra preventiva è ben più pervasiva e si esercita al di qua dello stato d'eccezione della guerra e del terrorismo, nella normalità del governo delle società occidentali: se è vero che, come argomenta Tamar Pitch, la strategia dela prevenzione sta ridefinendo il profilo della cittadinanza democratica. E non nel senso del suo allargamento, com'era in tempi di stato sociale, quando lo slogan «prevenire è meglio che curare e reprimere» indicava un'azione pubblica di tutela del cittadino dalle cause sociali della malattia, del disagio, della criminalità. Oggi, al contrario, azione pubblica e cause sociali scompaiono: il cittadino è solo davanti al rischio perenne (della malattia, della disoccupazione, del criminale, del terrorista), e il «buon» cittadino - e ancor più la buona cittadina - è quello/a che si fa carico individualmente di attrezzarsi a prevenirlo: con le assicurazioni, con la fitness, con i controlli sanitari periodici, smettendo di fumare, inserendo l'allarme e quant'altro, come si conviene a un mondo di «vittime responsabili». E se la strategia preventiva fallisce, se il cancro arriva lo stesso o l'allarme non scatta, la responsabilità si capovolge in senso di colpa: a sua volta individuale, privato, non socializzabile. L'algebra preventiva parte dalla privatizazione delle vite e ad essa ritorna.

E così pure la tecnica del profiling, ovvero della registrazione e classificazione dei comportamenti personali, che della prevenzione costituisce il pendant, come dimostra per l'appunto il caso della maxiretata di venerdì, organizzata sulla base del presunto profilo-tipo del terrorista eventuale. Opportunamente Gabriella Bonacchi interpreta l'uso odierno di questa tecnica - di cui ricostruisce la storia dall'indagine su Jack lo Squartatore di fine `800 agli studi dei servizi americani su Hitler che forniscono il modello per i successivi profiling del Nemico antiamericano, in Vietnam come in Iraq - come l'esito estremo del processo di privatizzazione dell'era neoliberista, che rovescia l'adagio femminista degli anni 70 «il personale è politico» nel suo contrario, «il personale è impolitico». E acutamente lo collega al trionfo, in terra Usa, di quella filosofia cognirtivista basata sull'indagine della mente individuale, che pretende di far fuori l'antropologia filosofica europea basata sulla centralità della dimensione linguistico-comunicativa e relazionale: «Nel machiavellismo leostraussiano dei "neocons" americani esiste una sola parola che ha senso e significato, quella che si scambiano i potenti fra loro e con Dio». Senonché quando la parola collassa, il crollo del senso non è più nelle mani di nessuno, tantomeno degli strateghi della prevenzione. Anche il kamikaze non ha parola, osserva Rosetta Stella, e anch'egli a suo modo è preda dell'assillo preventivo, «lo conduce alla massima potenza, quella di poter prevenire, dominandola, la cieca casualità del morire, e in questo è davvero martire, testimone della modernità suicida per eccesso di autosufficienza». De nobis fabula narratur, il Nemico parla di noi e dà scacco al re e alla sua algebra preventiva: altro non è in fondo che «la malattia mortale della modernità, quel cancro che non abbiamo saputo prevedere, né prevenire».

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