Da La Repubblica del 01/04/2004

La danza macabra nella città dell´odio

di Bernardo Valli

A FALLUJA ci devi passare ogni volta che vai a Bagdad, oppure la lasci per ritornare a Amman, in Giordania. All´andata l´attraversi nel primo pomeriggio, quando il traffico è intenso, caotico, e snervante per te che hai appena fatto più di novecento chilometri, e te ne mancano soltanto cinquanta per raggiungere l´albergo in riva al Tigri. Al ritorno invece la sfiori di primissimo mattino, spesso al buio. Ogni volta sei inquieto. Ti guardi attorno. D´ora in poi, dopo la danza macabra di ieri, la tensione sarà più forte. Nell´ultimo anno Falluja si è fatta una reputazione che va ben al di là dei confini iracheni.

Il suo nome è sinistramente familiare agli inquilini della Casa Bianca ed è un incubo per gli esperti del Pentagono. L´Iraq di Saddam Hussein è stato sconfitto, il suo esercito si è disperso, è stato sgretolato, lo stesso Saddam è stato catturato in modo umiliante, e mostrato al mondo nelle pietose condizioni di un barbone pieno di pidocchi. Ma a Falluja continua la guerra. La città resta un bastione di resistenza. E si dice che sia una resistenza saddamista. Ossia legata a quel che resta nella clandestinità del partito Baath.

È soltanto questo? Alcuni pensano, al contrario, che si siano inseriti elementi stranieri, e che la resistenza abbia cambiato natura, non abbia un carattere soltanto nazionale. Essa rientrerebbe nel più vasto movimento terrorista. Può essere. Ma l´appoggio massiccio della popolazione fa pensare piuttosto a qualcosa di locale. Larga parte della comunità sunnita è ostile alla presenza americana, e occidentale in generale, perché essa prepara un Iraq in cui non si riconosce. In cui, tra l´altro, la maggioranza sciita avrà un peso preponderante.

Falluja è l´epicentro del Triangolo Sunnita, la regione centrale dell´Iraq, dove gli americani continuano a cadere in imboscate, e dove la guerriglia avvampa di nuovo, appena a Bagdad i generali della Coalizione annunciano che è ormai ridotta a poca cosa. Ieri cinque marines sono stati uccisi a Malahma, nella provincia di Al Anbar, altra località del Triangolo sunnita, a dodici miglia da Falluja. E a Falluja c´è stata una macabra danza, al grido di «viva Saddam» e di «Allah è grande», attorno ai cadaveri dei passeggeri occidentali di due automobili, tipo Land Rover, poco prima dilaniate da un lancio di bombe a mano. I cadaveri sono stati poi appesi a un ponte, picchiati o trascinati per le strade, nel tripudio di una piccola folla. Tre vittime dell´agguato, sulle quali si sono accaniti gli abitanti di Falluja, erano americani. La quarta non si sa ancora. Erano rappresentanti di imprese, sempre americane, che lavorano con la Coalizione, come hanno detto le autorità militari di Bagdad? Oppure agenti di qualche servizio speciale in borghese? Qualsiasi sia la verità, le immagini della macabra danza attorno ai cadaveri resteranno a dimostrazione dell´odio che si sprigiona dall´Iraq un anno dopo la fine della guerra. E ad evocarlo, quell´odio, sarà il nome della città di Falluja.

Erano poco più delle cinque del mattino, martedì scorso, e Bagdad era ormai a una cinquantina di chilometri alle mie spalle, quando i marines hanno costretto la grossa Chevrolet, tipo Land Rover, che mi portava a Amman, a uscire dall´autostrada e a fare un´ampia deviazione. Cosi invece di sfiorare Falluja mi sono trovato nel suo cuore. Sull´autostrada si posavano gli elicotteri e c´era un viavai di mezzi militari. Era chiaro che le corsie asfaltate servivano da base d´appoggio. Nel centro della città, appostati agli angoli, o sotto i ciuffi d´albero, si vedevano cingolati dai quali spuntavano uomini e mitragliatrici.

Era in pieno corso uno di quei rastrellamenti che negli ultimi dieci giorni si erano moltiplicati in tutto il Triangolo sunnita. Lo Stato maggiore americano ne promuove spesso. E quando rientrano in una vasta operazione battezza l´insieme con un titolo in cui figura spesso la parola "iron", ferro. Ad esempio "Pugno di ferro". Le varianti sono tante. Una pattuglia ha attraversato una piazza, costringendoci ad avanzare a passo d´uomo. La voglia d´uscire al più presto da quella situazione invitava a schiacciare l´acceleratore: al contrario la saggezza ci imponeva un´andatura normale per non dare nell´occhio.

Quando ho visto le immagini televisive della danza macabra di Falluja, avvenuta ventiquattro ore dopo, è stato come assistere a un´esplosione dell´odio che avevo sentito covare, crescere, in Iraq, durante le tre settimane che vi avevo appena trascorso. Facevo colazione, a Amman, nella casa di Fuad, la mia guida palestinese. E abbiamo naturalmente evocato il nostro passaggio a Falluja, nella mattina ancora buia di martedì. Ma quelle immagini avevano creato tra di noi un certo imbarazzo. Ed è stato lui, Fuad, a rivelarne la natura.

Sono dei selvaggi, vero? Ho annuito. Sono tutti selvaggi qui da noi, ha insistito Fuad. Tutti chi? Non c´era bisogno di uccidere un paralitico in carrozzella, all´uscita dalla moschea? All´improvviso ha tirato fuori lo sceicco Yassin, ucciso a Gaza. Per controbilanciare l´orrore di Falluja? Gli americani, ha proseguito, non hanno neppure condannato l´assassinio al Consiglio di sicurezza. Non ha aggiunto altro. Dopo una pausa, gli ho detto che adesso ci sarà come risposta un massacro di civili a Gerusalemme o a Tel Aviv. Fatima e Ahmed, figli di Fuad che non hanno mai visto Hebron dove è nato il padre, mi gurdavano con una certa apprensione. Davanti a un buon kebab (con contorno di riso) stavamo mettendo tutti i drammi del Medio Oriente nella stessa pentola. Siamo ritornati all´Iraq. Ho chiesto a Fuad se avesse sentito l´odio crescere durante il nostro viaggio. Ha fatto un gesto con la mano che significava: altroche!

Falluja è un caso estremo. Ma rivela che l´ostilità nei confronti dei soldati americani straripa, si estende anche ai civili che lavorano per loro. E poiché non è facile distinguerli da coloro che sono in Iraq per altri motivi, tutti gli occidentali possono diventare dei bersagli. Due finlandesi sono stati uccisi nei giorni scorsi in piena Bagdad. Ed era gente che aveva contratti con la Coalizione. Li avevano anche alcuni ospiti dell´Hotel Mount Lebanon, distrutto con un´autobomba, sempre nel cuore della capitale.

Tre missionari americani di una Chiesa batista sono stati uccisi nel Nord. E sono stati freddati dai cecchini due tecnici, un tedesco e un olandese. La caccia si è estesa agli iracheni che lavorano, anche come guide o traduttori, per gli occidentali.

Un tempo si vedevano in giro molte automobili tipo Land Rover, americane o giapponesi, macchine imponenti, spesso nuove fiammanti, e quindi ben visibili nel traffico alimentato da roba di seconda mano, proveniente dai mercati dell´usato (o del rubato) di mezzo mondo. Anche noi giornalisti, avendole affittate in Giordania o nel Kuwait, le esibivamo, agghindate con scritte varie, che indicavano la nostra qualità (Press) o i titoli dei nostri giornali, senz´altro esotici per molti iracheni. Erano dei lasciapassare. Dei segni di neutralità. Adesso nessuno osa più appiccicare qualcosa al parabrezza. E al posto degli imponenti Land Rover, troppo visibili nel traffico, tutti preferiscono anonime carcasse, che passano inosservate.

La danza macabra di Falluja rivela una forma estrema (selvaggia, come dice Fuad) dell´odio che regna in Iraq (e per lui in Medio Oriente).

Essa ricorda comunque agli iracheni che frequentare gli occidentali puo´ costituire un pericolo.

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