Da Il Messaggero del 26/03/2004

E la crescita è vicina allo zero

di Enrico Cisnetto

UNA duplice conferma. I dati Istat sul fatturato e sugli ordinativi dell'industria, crollati entrambi di oltre il 6% sull'anno scorso, che sommati alla flessione del 2,8% della produzione industriale fanno di gennaio 2004 un mese nerissimo per l'economia italiana, da un lato certificano che siamo di fronte ad una crisi di gravissime proporzioni, e dall'altro valorizzano la scelta del sindacato di trasformare lo sciopero generale di oggi da una protesta per la riforma delle pensioni (che peraltro ancora non c'è, dopo due anni di penoso tira e molla) in un grido d'allarme sul declino del Paese. Certo l'arma dello sciopero appare vecchia e spuntata, di fronte ad una "stagnazione permanente" pronta persino a diventare recessione, se continuerà l'inerzia che non ha motivi congiunturali, ma affonda le sue radici (solide, purtroppo) nella caduta strutturale di competitività del nostro capitalismo. Ma pur sempre comprensibile, visto che Cgil, ma soprattutto Cisl e Uil, paradossalmente sono state "scavalcate a sinistra" dal governo di centro-destra nel gioco di rassicurazione dei cittadini che nessuno "metterà le mani nelle loro tasche".

Sta di fatto che il mix tra l'ottimismo immotivato del governo, la facile demagogia di una buona fetta dell'opposizione, la forte tendenza autoassolutoria di imprenditori e banchieri e l'alto tasso di conservazione del sindacato, ha costituito una vera e propria miscela letale per l'economia italiana e i suoi mai avviati processi di modernizzazione. Anzi, il gioco di scaricabarile sulle responsabilità di una crisi che invece, proprio perché strutturale, le coinvolge tutte senza esenzioni, ha finito per vanificare le energie e per bruciare quelle occasioni che avrebbero potuto contribuire ad arginare il declino. In questa situazione, far proprio il motto "aspettare e pregare", sperando che "passi la nottata" pratica che sembra prevalere in un sistema politico che già da settimane si dedica solo ad una campagna elettorale per un voto che ci sarà soltanto a metà giugno è criminale per il Paese e stupido tanto per la maggioranza (che rischia la sanzione dei cittadini) quanto per l'opposizione (che rischia di ritornare al governo nella peggiore delle condizioni). Né l'attesa inerme può essere utile a Confindustria e sindacati.

Al contrario, occorre prendere subito l'iniziativa. Se si analizzano nel dettaglio i dati sulla congiuntura, si capisce che anche nel 2004 terzo anno consecutivo si rischia la crescita quasi zero. D'altra parte, con i consumi interni che stagnano per il crollo della fiducia e delle aspettative e per l'impoverimento delle fasce più deboli del ceto medio, e con l'export che si riduce per la progressiva erosione di spazi competitivi da parte dei paesi emergenti (a gennaio il fatturato estero è sceso del 9,3% e gli ordinativi del 7,5%), non si capisce da che parte possa venire la ripresa, visto che quella americana è autoreferenziale e quella europea non esiste, e dunque mancano locomotive cui attaccarsi. Insomma, senza una grande mobilitazione non solo quella di piazza, che serve solo se crea consapevolezza "buona", cioè non viziata dall'idea che dovrà essere qualcun altro a pagare la crisi dell'industria diventerà irreversibile. Già ora c'è la fila di imprenditori che bussano a Palazzo Chigi per accedere alla legge Marzano (ex Prodi). La lista delle aziende in difficoltà è drammaticamente lunga. Ma tamponare le emorragie, ammesso che ci si riesca, non basta. Più che salvare l'esistente occorre inventarsi il futuro, e per far questo ci vogliono progetti, teste, competenze e soldi. Ergo, strumenti, pubblici e privati, di politica industriale e un forte coordinamento politico. Non sarebbe ora di prendere il toro per le corna?

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