Da Il Messaggero del 23/03/2004

Con un colpo solo centrato anche Arafat

di Marcella Emiliani

CON l'uccisione del leader spirituale di Hamas, lo sceicco Yassin, il conflitto israelo-palestinese è purtroppo entrato in una fase nuova e - se possibile - più crudele. Hamas ha infatti promesso l'inferno a Sharon, ma non è solo il facile e terribile pronostico del moltiplicarsi degli attentati terroristici in Israele a preoccupare. In ballo c'è ben di più. Con la morte di Yassin salta quell'equilibrio non detto che fino ad oggi aveva fatto dell'Intifada al-Aqsa un conflitto circoscritto appunto al solo Israele; quel conflitto ora rischia di estendersi a tutti i Paesi che siano o siano percepiti come alleati del governo israeliano, Stati Uniti in testa, rischia insomma di inserire anche i kamikaze palestinesi in quel circuito internazionale del terrorismo islamico targato al Qaeda.

Per quanto sembri paradossale, fino ad oggi era stata la stessa Hamas a tenersi a debita distanza dall'organizzazione di Bin Laden, affermando più volte - e per bocca dello stesso Yassin - che il proprio interesse era e rimaneva la liberazione della Palestina, e non le crociate planetarie del principe del terrore. Ieri, le Brigate al Qassam, che di Hamas sono il braccio armato, hanno parlato chiaro in merito: dopo essersi dette convinte che Sharon non avrebbe mai osato tanto senza «il via libera dell'amministrazione americana terrorista», hanno minacciato: «Tutti i musulmani nel mondo islamico avranno l'onore di partecipare alla rappresaglia per questo crimine». E proprio come tappa della guerra globale al terrorismo più o meno nelle stesse ore il primo ministro israeliano giustificava l'uccisione di Yassin, rivendicando il diritto di Israele a difendersi da chi vuole la sua distruzione. Ebbene, se prima una giustificazione simile rappresentava una forzatura per legittimare gli omicidi politici mirati e la repressione durissima con cui Sharon tenta di aver ragione dell'Intifada, senza riuscirci, oggi proprio le modalità di quella repressione potrebbero catapultare la stessa Intifada nel girone infernale del terrorismo globale.

Ma la situazione è destinata a cambiare anche per Arafat che a questo punto - sulla salma dello sceicco Yassin - perde la sua guerra contro Hamas, quel braccio di ferro sanguinoso e molto ambiguo tra palestinesi che si è sempre giocato dietro l'Intifada. Tutti i funambolismi con cui il presidente dell'Autonomia nazionale palestinese ha tentato di tenersi in sella fino ad oggi rischiano infatti di essere spazzati via dall'ondata emotiva che rafforzerà Hamas e trasformerà lo sceicco defunto in un vero martire, nell' unico simbolo della rivolta, a scapito di una leadership vecchia, corrotta, che ha illuso la popolazione con la chimera di una pace che non si è mai realizzata.

Detto in altre parole, col funerale di Yassin rischia di essere stato celebrato ieri anche il funerale politico di Arafat. Forse Sharon mirava anche a questo colpendo il leader spirituale di Hamas: in previsione del suo ritiro unilaterale prima da Gaza, poi dalla West Bank, indebolire non solo la potente organizzazione islamica, ma sbarazzarsi anche dell'arcinemico Arafat confidando nella sua incapacità a gestire "il dopo Yassin" e dunque nell'aggravarsi dello scontro tra palestinesi. Può darsi. Arafat potrebbe comunque sempre offrire ad Hamas una quota del suo potere, una sorta di power sharing (ovvero compartecipazione al potere) che trasformerebbe l'Autonomia in uno Stato islamico. Era proprio questo che Sharon voleva? In tutti i casi la morte di Yassin ha aperto un nuovo vaso di Pandora ed è difficile immaginare chi ne possa trarre vantaggio coi tempi che corrono.

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