Da La Stampa del 23/03/2004

Sarà a Gaza il bivio di Israele

di Igor Man

À la guerre comme à la guerre»: l’uccisione dello Sceicco Ahmed Yassin è un atto di guerra. La guerra tra Hamas e Israele. Sporca come tutte le guerre, forse più sporca di tante altre ma guerra.

L’exploit mortale di Sharon (sì, perché è lui, come da sua ammissione, che ha gestito il sofisticato omicidio) è stato «condannato». Come da copione. «L’Italia e l’Unione europea condannano, non da oggi, le esecuzioni mirate in risposta ad atti terroristici», afferma Frattini.

Anche Lord Straw condanna «l’assassinio illegittimo (sic)» mentre il «moderato» Mubarak annulla la partecipazione egiziana alla commemorazione, in Israele, della pace di Camp David. Pure e semplici «gesticolazioni diplomatiche», o, per citare De Gaulle, «ipocrisie d’autore». Amnesty International si indignerà, il Papa soffrirà ma, in ogni caso, nessuno, sol che abbia un minimo di buon senso, potrà pensare che l’eliminazione mirata dello Sceicco paraplegico plachi gli ardori di Hamas, l’acronimo di «zelo, coraggio, entusiasmo» dell’organizzazione umanitaria creata nella metà degli 80 da Ahmed Ismail Hassan Yassin (nato ad Ashkelon nel 1936), un maestro elementare leader, a Gaza, dei Fratelli musulmani cui, appunto, Hamas si ispira.

Paradossalmente Hamas deve il suo sviluppo a Israele che ne incoraggiò l’attività assistenziale di segno coranico. L’idea era di farne un movimento religioso in competizione con l’Olp, laicamente nazionalista, come avrebbe spiegato, più tardi, il sindaco di Natanya, Zvi Poleg, già comandante dell’esercito israeliano a Gaza dal luglio dal 1988 al marzo del 1990. «Sennonché con inopinata velocità progressiva, Hamas, nel volger di pochi mesi, prese a guidare la resistenza violenta» (cfr. Mideast Mirror, 15-12-’94). Se tutto ciò è vero, indubbiamente Israele allevò la serpe in seno, come usa dire. E che serpe. Ispirata da un fragile, carismatico omino prigioniero della sedia a rotelle, voce querula, mani espressive: lo Sceicco Yassin, giustappunto. Hamas, raccogliendo la passeggiata-provocazione di Sharon sulla Spianata dei Templi, scatena la seconda intifada palestinese che giorno dopo giorno da sollevazione popolare si trasforma in «piccola guerra». Una guerra militarmente impari poiché quello d’Israele è un grande esercito moderno ma psicologicamente dominata dallo stillicidio perverso degli attentati suicidi. Ovviamente i «kamikaze» sono dei volgari terroristi fanatici, per Israele, ma per i palestinesi, nella fattispecie quelli invero disperati di Gaza, eroici militi d’una sin qui indomabile resistenza alle forze di occupazione.

Sharon, esattamente il 2 di febbraio, proclamò l’intenzione di «metter fine alla presenza ebraica a Gaza», con un ritiro (parziale) di Tsahal. Codesta «intenzione» allarmò l’esercito ossessionato dal ritiro unilaterale dal Libano nel maggio del 2000, definito «un premio ai terroristi hezbollah». Di più: a dispetto delle proclamate vittorie di Israele, delle esecuzioni mirate, Hamas è riuscita a imporre una guerra d’usura a Sharon, un soldato-leggenda. Il «bel gesto» del ritiro da Gaza dovrebbe mascherare il mancato successo di Tsahal, diventando altresì un grosso regalo politico a un Bush sempre più perplesso (e preoccupato) di fronte alla deriva mediorientale, che non poco disturba la sua difficile campagna elettorale.

Lasciando da parte il rituale linguaggio maoista di Hamas che promette vendetta tremenda vendetta, dati per scontati dolore e isterismi nella galassia islamica, rimane aperta la questione: l’aver decapitato Hamas rafforzerà in Sharon l’intenzione di ritirarsi da Gaza ovvero lo spingerà a non muoversi nella convinzione di essere sul punto di schiacciare la testa alla serpe? C’è una sola certezza, ahimè amara: la già tisica speranza di una pace in Terra Santa rischia di esalare l’ultimo respiro.

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