Da Corriere della Sera del 18/03/2004

Autobomba sbriciola un albergo di Bagdad

Almeno 29 morti nel rogo. Vittime soprattutto irachene. Dalle finestre le grida dei feriti. Sfiorato un ospedale

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Per un attimo il centro di Bagdad ha tremato ieri sera come quasi un anno fa, quando le prime bombe davano il via all'attacco americano. E probabilmente chi ha commesso questo ennesimo attentato voleva sottolineare nel sangue proprio quell'anniversario. Un'esplosione fortissima, guarda caso circa 150 metri in linea d'aria da piazza Furdus, dove il 9 aprile 2003 le truppe Usa e la folla irachena distrussero la statua di Saddam Hussein a segnare la fine della guerra e il collasso della dittatura.


L’INFERNO - «Un'auto bomba. Brucia l'hotel Jebel Lubnan (Mount Lebanon, ndr.). Vicino è stato anche colpito un ospedale», gridano nei corridoi gli ospiti dell'Hotel Palestine e del vicino Sheraton, a meno di mezzo chilometro di distanza dal luogo dello scoppio. Sono circa le 19 e trenta locali quando l'esplosione sconvolge la città. I bagliori dell'incendio illuminano il cielo già buio. Appare subito evidente che ci sono tante vittime. Le sirene delle ambulanze in arrivo sono continue. Più tardi in serata i primi bilanci saranno di 29 morti e almeno 41 feriti (due cittadini britannici). «Per lo più le vittime sono iracheni, compresi donne e bambini. Ma nell'hotel c'erano uomini d'affari giordani, sauditi e dei Paesi del Golfo. Va ancora verificata la loro sorte», dichiara a caldo il ministro degli Interni del governo provvisorio iracheno, Achmad Ibrahim.


L’HOTEL - Anche tra i giornalisti occidentali assiepati tra Palestine e Sheraton si fa la conta. In passato alcuni colleghi, tra loro alcuni italiani, avevano scelto di stare allo Jebel Lubnan. I motivi? La sicurezza: è un luogo centrale ma defilato, cinque piani, poco visibile, anche se con un numero molto ridotto di guardie armate. Ma al momento sembra non vi alloggiasse alcun giornalista. Sembra che nell'albergo vi fossero 9 clienti, oltre ai 21 dipendenti. Secondo alcune fonti vi alloggiavano anche americani ed egiziani. Nella zona sono situate anche alcune organizzazioni non governative internazionali, dove c'è stato qualche vetro rotto e tanta paura. Gira la voce che l'albergo fosse invece frequentato da uomini politici curdi e ciò potrebbe spiegare la scelta dell'obbiettivo. Ma in effetti molto lascia credere che il movente dei terroristi sia lo stesso che ha condotto gli attentati degli ultimi mesi: creare il caos, a costo di massacrare civili, con l'intento di paralizzare il processo di normalizzazione e fomentare la rabbia contro gli americani e i loro alleati. E' dalla metà dell'estate scorsa che al diminuire dei blitz contro le truppe Usa corrisponde l'aumento degli attacchi contro i civili locali e occidentali. Iniziò con l'attacco all'ambasciata giordana il 9 agosto. Il 19 dello stesso mese contro il quartier generale dell'Onu. Poi fu la volta degli sciiti a Najaf. Il 27 ottobre contro la Croce Rossa. Ultimi in ordine di tempo quelli del 3 marzo contro i fedeli sciiti a Karbala e in una moschea di Bagdad, che causò oltre 180 morti. Negli ultimi 7 giorni inoltre almeno 8 civili occidentali sono stati uccisi a sangue freddo. E' la strategia dei cosiddetti soft targets . E cosa c'è di più facile che colpire un piccolo albergo privo di protezioni? Lo stesso governatore americano a Bagdad, Paul Bremer, dichiara da tempo che il terrorismo e le vittime civili sono destinati ad aumentare.


L’OSPEDALE - Il luogo dell'esplosione è avvolto nel fumo degli incendi. Bruciano due villette a due piani di fronte ai ruderi dell'hotel, bruciano alcune auto posteggiate lungo la strada, e brucia parte della mobilia di un'altra palazzina fatta di mini-appartamenti in affitto poco distante. Anche l'ospedale privato «Bagdad», a un centinaio di metri, mostra i segni delle schegge e dello spostamento d'aria. Una folla impazzita di giovani, abitanti del quartiere, vigili del fuoco e poliziotti cerca di spostare le macerie per aiutare i feriti. Si calpestano a vicenda tra le urla, alcuni cadono nel cratere profondo 4 metri e largo 7 lasciato dall'esplosione. Quando dalle finestre semibloccate dalle macerie di una palazzina a tre piani si odono i feriti gridare, sono in tanti ad arrampicarsi sulle strutture divelte, con il rischio di precipitare sulla folla che li segue, per cercare di raggiungerli.


GLI SLOGAN - Dopo circa mezz'ora dall'esplosione arriva un nutrito contingente americano che con i mitra in mano cerca di transennare l'area e mettere un po' d'ordine tra i soccorsi. E' allora che si odono alcuni slogan contro l'occupazione. «Se non ci fosse stata la guerra non avremmo il terrorismo», inveisce qualcuno. I genieri militari intanto compiono i primi accertamenti. «E' stata un'auto bomba. Hanno utilizzato esplosivo al plastico assieme a proiettili d'artiglieria da 150 millimetri», nota un portavoce delle forze americane. Poi la città torna ad attendere preoccupata. Non è un mistero per nessuno che l'anniversario dello scoppio della guerra, il 20 marzo, potrebbe condurre a nuovi bagni di sangue.

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