Da Corriere della Sera del 03/03/2004

«Debito pubblico: Bankitalia sapeva tutto»

Il Tesoro: sui numeri nessuna divergenza, discutibile il metodo. Ma Standard and Poor’s: servono misure strutturali

di Mario Sensini

ROMA - Sui numeri sono tutti d’accordo. Sul metodo con cui si è arrivati alla revisione al rialzo del debito pubblico, dovuta alla mancata contabilizzazione di alcune voci, come i conti correnti postali, continua la polemica a distanza tra Tesoro e Banca d’Italia. Alla nota un po’ piccata diffusa l’altro ieri da Via Nazionale, ieri ha risposto il ministero dell’Economia con altre puntualizzazioni. La diatriba sui conti pubblici, tuttavia, pare aver ridestato l’attenzione sull’Italia delle agenzie di rating , che danno i voti alla qualità del debito. Almeno di Standard and Poor’s, che ieri ha paventato «un abbassamento della valutazione nel 2004 senza un’efficace risoluzione degli squilibri di bilancio con misure strutturali».


DEBITO, BANKITALIA SAPEVA - Alla Banca d’Italia, che lamentava di aver avuto dall’Economia i dati sulle Poste solo il 26 febbraio, il Tesoro ha replicato ieri facendo presente che quei numeri le sono stati girati lo stesso giorno, appunto il 26 febbraio, in cui «le Poste li hanno comunicati al ministero». «Ma l’esistenza del problema - aggiunge il ministero guidato da Giulio Tremonti - era nota da tempo a tutte le istituzioni coinvolte nella comunicazione dei dati sul debito». Bankitalia, dunque, sapeva. O quanto meno doveva supporre. Se non altro perché, aggiunge Tremonti, «aveva già trasmesso nel corso del 2003 alla Banca Centrale Europea le statistiche sulla base monetaria che transita per il canale postale, che è un dato parzialmente sovrapponibile a quello dei conti correnti postali dei privati».


CONTI DIMENTICATI - Un passo indietro per capire meglio. In voga per molti anni, i conti correnti postali (a tutti gli effetti una voce del debito pubblico se a detenerli sono i privati) hanno man mano perso appetibilità tra il pubblico dei risparmiatori, anche per i bassi rendimenti garantiti, fino a quasi sparire del tutto verso la fine degli anni ’90. Solo dal 2000 hanno ripreso a diffondersi, ma nessuno, a quel punto, si è preoccupato di conteggiarli nel debito. Anche perché le Poste non avevano una banca dati informatica sui titolari di quei conti. Solo nel 2003 è iniziata la ricostruzione delle giacenze e solo il 26 febbraio è venuta fuori la loro reale consistenza che si è tradotta, nel 2003, in 17 miliardi di maggior debito pubblico (cui se ne aggiungono altri 4 per un errore sulla contabilizzazione dei fondi pensione che la Banca d’Italia ammette senza riserve). Dalle statistiche della Banca d’Italia sulla base monetaria, dice tuttavia il Tesoro, qualcosa sui conti correnti postali risultava. Ma è anche vero che qualcosa doveva saperlo anche il ministero, che nella nota ammette che «la revisione è stata comunicata alla Ue di concerto tra ministero, Istat e Bankitalia, dopo un lavoro comune di mesi». Alla nota del ministro, Bankitalia ha scelto comunque di non replicare, segno che forse la polemica si sta ricomponendo.


RATING A RISCHIO - Il debito pubblico, in ogni caso, è uno degli elementi che preoccupano di più le agenzie di rating. Se Moody’s si dimostra tranquilla e pronta a tener conto dell’effetto della bassa crescita, Standard and Poor’s ricorda che il debito italiano «non solo è tra i più alti tra i Paesi che ottengono un rating, ma sta anche calando più lentamente rispetto agli altri Paesi che hanno un debito elevato». E il problema non è solo quello. Secondo gli analisti della società, «il governo non ha ancora delineato una strategia coerente per eliminare il deficit e ridurre al tempo stesso la dipendenza da misure una tantum». Quanto al progetto di riduzione delle tasse, Standard and Poor’s avverte: «Sarà possibile solo se controbilanciato da un taglio alla spesa».


PIL DELUDENTE - Anche mettendo da parte quello dei conti pubblici, resta il problema della bassa crescita. I dati del prodotto interno lordo, cresciuto nel 2003 di appena lo 0,3%, «sono purtroppo deludenti» ha detto il presidente di Rcs Quotidiani Cesare Romiti. «Per il 2004 - ha aggiunto - non mi pare che allo stato dell’arte si possa pensare a miglioramenti notevoli». Il vice presidente del Consiglio, Gianfranco Fini, ribadisce: «Siamo convinti di poter ridurre le tasse entro il 2006». Umberto Agnelli, presidente della Fiat, riconosce che il problema non è solo italiano, ma europeo e dice che «bisogna cominciare a reagire». Lo stesso presidente del Senato, Marcello Pera, sollecita una risposta europea, mentre il ds Pierluigi Bersani obietta: «Siamo a crescita zero, non è vero che siamo nelle stesse condizioni di Francia e Germania».

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