Da Il Mattino del 03/03/2004

Guerra civile e di religione

di Vittorio Dell'Uva

Nello scadenzario della morte, che la resistenza e l’estremismo hanno fissato, i massacri di Karbala e Baghdad erano da prevedere. E non certo perché Al Zarqawi, l’inviato di Osama in Iraq, ha teorizzato la necessità di scatenare l’ennesima guerra di religione tra sciiti e sunniti allo scopo di destabilizzare il Paese distribuendo ai «martiri» appena arruolati il manuale con le istruzioni per l’uso.

Più eserciti ombra che dispongono di un’arma imbattibile, gli uomini-bomba, sono riusciti da tempo ad imporre i ritmi ad un conflitto non convenzionale fino a renderlo endemico nonostante gli annunci di Bush, prematuri e non privi di una certa arroganza, sulla «guerra finita». Poco meno di un anno fa i «missili intelligenti» disarticolarono le strutture militari irachene. Il dopoguerra è fatto di blitz altrettanto mirati contro i simboli del nuovo potere e a quanti al suo consolidamento collaborano. È il cantiere della politica all’ombra degli Stati Uniti, nei cui sottoscala tendono a formarsi ambigue alleanze, che subisce sempre più frequentemente gli attacchi. Che non a caso coincidono con eventi significativi.

Appena ieri l’altro, Washington di fronte all’accordo trovato dalle fazioni irachene sul testo della nuova Costituzione aveva esultato intravedendo il «radicamento della democrazia». I massacri di ieri ci dicono che, di radicato in Iraq, c’è soprattutto una nuova stagione dell’odio generalizzato favorita dal sovrapporsi e dalla competizione di più modelli di società tutti più o meno di importazione. L’ala sciita allevata a Teheran vorrebbe una islamizzazione di tipo iraniano con deriva fondamentalista. Un’altra, che si riconosce negli eredi dei grandi imam perseguitati da Saddam rivendica il potere in nome della resistenza al regime rifacendosi al modello libanese di una leadership religiosa che abbia le radici nel Paese e la proiezione verso il mondo arabo cui si sente legata.

Su un terzo fronte la minoranza sunnita, che fu vicina al rais, libera assieme al proprio rancore veleni che possono a lungo intossicare la società irachena. Giorno dopo giorno il laicismo di Baghdad che, con il concreto contributo di Washington, fece negli anni Ottanta da barriera al vento khomeinista, rischia sempre di più di perdere consistenza e spessore. Una dopo l’altra le bombe a tempo che Bush non si è reso conto di avere disseminato con l’invasione, cominciano ad esplodere. Con un effetto boomerang che gli Usa, gestori di una guerra, ufficialmente, di autodifesa non sono stati in grado di prevedere semiaccecati dalla cortina fumogena dei dossier della Cia sulle armi proibite. Al di là delle esigenze elettorali che impongono spot a presa rapida, non può essere classificata soltanto come propagandistica la frase con cui John Kerry, il probabile rivale di Bush alle presidenziali, ha commentato il giorno tragico dell’Ashura: «Con la guerra abbiamo fatto nascere terroristi dove non ce n’erano». L’eruzione del vulcano iracheno diventa sempre più incontrollabile stimolando voglie di disimpegno. Le inquietudini popolano le attività quotidiane. Le infiltrazioni di Al Qaida non sono più ormai una vaga ipotesi di lavoro. Se in Iraq, in undici mesi, gli attentati e le azioni della guerriglia hanno fatto oltre undicimila morti tra i civili e 550 tra i soldati americani, vuol dire che le potenze occupanti cui sono delegate sicurezza e responsabilità non poco hanno fallito nelle intenzione e con le opere. Senza nemmeno riuscire a generare quei sentimenti di gratitudine che abitualmente creano ombrelli protettivi per i liberatori. Nè il futuro promette qualcosa di buono. I massacri di Karbala e Baghdad, coincidendo con il sanguinoso attacco dei radicali sunniti agli sciiti del Pakistan, fanno emergere i contorni di una guerra intestina di religione, ma il «martirio nel giorno dell’Ashura - come spiega il rettore del pontificio Istututo di Studi arabi - può rivelarsi fondamentalmente una esortazione a combattere i nemici della Fede». Che in Iraq altri non sono che gli americani e i loro alleati.

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