Da Corriere della Sera del 26/02/2004

Kerry vince ancora. Bush: «E’ il mio avversario»

Trionfo in Utah, Idaho e Hawaii. Il senatore critica la Casa Bianca per il no alle nozze gay: «Decidano gli Stati»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - «Non così in fretta, George Bush, non sei tu a scegliere il candidato democratico!», ripete John Edwards tra gli applausi e i fischi a un comizio a New York. Senza nominarlo, il presidente si è appena scagliato contro John Kerry dalla Casa Bianca: «Il mio avversario, il senatore del Massachusetts - ha detto tra le risate dei repubblicani - è il Signor Tentenna: appoggia e s’oppone al tempo stesso alla sicurezza nazionale, alla riduzione delle tasse, alla riforma sanitaria, alla guerra all'Iraq. Non ha la stoffa del comando». Edwards non vuole figurare eliminato dalla campagna elettorale, punta ancora su due o tre vittorie, New York appunto, l'Ohio, la Georgia al supermartedì del 2 marzo quando si voterà in dieci Stati. «Votate per me - grida ai democratici -, vi restituirò la Presidenza». Sorvola sulle sconfitte subite ieri alle primarie dello Utah (il 30 contro il 54 per cento dei suffragi di Kerry), e nei caucus dell'Idaho (22 contro 54 per cento) e delle isole Hawaii (13 contro 46 per cento). Combatterà, conclude, anche il 9 marzo alle votazioni nel Texas e in altri Stati del Sud, dove è di casa.

Ma, statistiche alla mano, i repubblicani si concentrano su Kerry, che sinora ha conquistato 663 delegati contro 199 di Edwards, e che è favorito quasi ovunque nei sondaggi, addirittura il 60 contro il 21 per cento a New York, il 60 contro il 19 per cento in California. Considerano finite le primarie democratiche, il 4 marzo bombarderanno l'America di spot durissimi in tv. Ricordano ai reduci della guerra del Vietnam, in prevalenza schierati con il senatore, che Kerry fu pacifista e che «si alleò a una comunista», Jane Fonda, l'attrice che sostenne Hanoi. Denunciano una serie di suoi voti contraddittori al Senato, e la sua eredità di «ricco liberal elitario». Mobilitano anche Dick Cheney, «mio compagno di corsa», ha confermato Bush. Il vicepresidente, che ha una figlia gay, attacca Kerry sul terreno dei matrimoni omosessuali. Mentre Bush propone di vietare i matrimoni emendando la Costituzione, Kerry chiede che siano gli Stati a decidere. «Il nostro è un matrimonio repubblicano», spiega Cheney stringendo la moglie Lynn: quelli omosessuali sarebbero «matrimoni democratici».

Il Washington Times , che spalleggia Bush e i falchi, si spinge ancora oltre. Definisce Kerry un simpatizzante della «vecchia Europa»: nasconde una valanga di cugini francesi da parte della madre e il nonno paterno era un ebreo tedesco dei Sudeti.

Racconta che la famiglia possiede una villa a Saint Briac sur mer, in Francia, sulla costa bretone, che molti dei cugini sono antiamericani, verdi e socialisti, che Kerry studiò in Svizzera e che continua a frequentarli. Ne deduce che il retroterra del senatore è francese, parla quella lingua, in altre parole che non è un vero yankee . Per i repubblicani, che accusano la Francia e la Germania di «tradimento» in Iraq, è come agitare un drappo rosso davanti a un toro. La rivista Time protesta: vedrete che la Casa Bianca tenterà di dipingere Kerry come un alieno che beve vino anziché birra, mangia formaggio francese anziché bistecche texane, indossa cravatte Hermès anziché camicie da cow boy. Non sarebbe la prima volta, il presidente Nixon dette ai democratici degli «intellettuali effeminati». Usa Today ammonisce: «Il duello Kerry-Edwards è molto civile, non è il caso di infangare le elezioni».

È un'implacabile macchina da guerra che si mette in moto con George Bush. Ma il senatore del Massachusetts non ha bisogno di difensori. A Toledo, nell'Ohio, dove si presenta con l'ex astronauta e senatore John Glenn, un eroe americano, contrattacca con ferocia. Kerry non scorda che nell'88 il candidato democratico Mike Dukakis, governatore del Massachusetts, non seppe reagire a Bush padre, e fu distrutto. Lui non fa questo errore, ribatte colpo su colpo. Il presidente è «una contraddizione ambulante, una litania di promesse violate», dice. Lo sfida a visitare l'Ohio, che dal 2001 ha perduto 270 mila posti di lavoro, «a giustificare i tagli fiscali per i ricchi, i potenti e le imprese che licenziano la gente». S'impegna per la giustizia economica, offre misure per l'occupazione: «Non lascerò emigrare le nostre aziende all'estero». Bolla la strategia di Bush in Iraq: «È stupida, costa sempre più vite umane, non consente vie d'uscita». Tira addirittura in ballo Haiti: «La Casa Bianca ha fatto il doppio gioco, vuole liberarsi di Aristide perché lo odia».

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