Da Il Messaggero del 15/02/2004
A Verona
Le massaie “improvvide” in piazza
di Maria Lombardi
ROMA - Polpette anche oggi, non è più tempo di bistecca tre volte alla settimana, e per contorno patate, perché i carciofi costano un accidente. Il prosciutto? Non è San Daniele, ma è buono lo stesso. Niente cinema stasera, meglio noleggiare un dvd e vederlo con i vicini. E dopo aver messo 5 euro di benzina (non fosse altro che per la sensazione di risparmio) si arriva in auto fino al mercato perché lì la spesa è un po’ più leggera. I prezzi salgono, gli stipendi no e allora tocca arrangiarsi, inventare strategie per arrivare a fine mese con quel che c’è, improvvisarsi “manager” domestici con una certa attitudine ai tagli, aggregarsi per dividere i costi. «Le famiglie del nostro Paese hanno perso negli ultimi due anni il 12 per cento del loro potere d’acquisto», avverte l’Intesa dei consumatori. Una famiglia su dieci, secondo il rapporto dell’Istituto consumatori e utenti, vive con 516 euro al mese, mentre il 7,3 per cento può permettersi di spenderne oltre 4.000.
Cambiano le abitudini. «Sono colpiti non solo i redditi bassi, ma anche quelli medi», dice Rosario Trafiletti, presidente della Federconsumatori. «Si rinuncia al superfluo, ovviamente, ma si sta molto attenti anche con i beni di prima necessità. Negli ultimi due anni il consumo di frutta e verdura è sceso del 12 per cento circa per via dell’aumento dei prezzi in questo settore». E quando si fa la spesa, non si sta più tanto attenti alle marche. «C’è un’inversione di tendenza negli acquisti: prima si guardava alla qualità dei prodotti scelti - aggiunge Trafiletti - adesso molto meno. E questo avrà delle ricadute anche sulla produzione: le aziende che puntano sulla qualità dovranno fare i conti con queste nuove abitudini».
Strategie di risparmio? «E’ aumentato l’acquisto della carne e del pesce al supermercato, conviene rispetto alla macelleria e alla pescheria», dice Carlo Rienzi, presidente del Codacons. «Più cene a casa e noleggio di cassette o dvd da parte di due, tre famiglie per dividere la spesa. E i giovani che vanno in un locale, invece di ordinare una consumazione ciascuno, prendono una bottiglia in dieci». Si riscoprono i mercati rionali. Marco Venturi, presidente nazionale della Confesercenti: «I consumatori si sono accorti che nella grande distribuzione il costo dell’ortofrutta è più alto, così tornano ai mercatini e non si fermano ai primi banchi, ma scelgono. Si aspettano i saldi, ma si acquista solo lo stretto necessario: la stagione degli sconti si chiuderà con un bilancio nel complesso negativo». In calo l’acquisto dei beni cosiddetti durevoli (elettrodomestici, hi-fi): meno 1,8 per cento lo scorso anno. «La perdita del potere d’acquisto dei consumatori è reale - sostiene Venturi - ma non è legata solo all’aumento dei prezzi. Non c’è stata crescita e non mi sembra che siano state fatte delle manovre che permettono un rilancio dell’economia».
Per il sociologo Domenico De Masi, l’Italia di oggi ricorda l’Inghilterra della Thatcher o gli Stati Uniti di Reagan. «La spinta liberista impoverisce e schiaccia il ceto medio che rischia di diventare proletario». Che si tratti di un impoverimento reale o solo percepito, le conseguenze sono le stesse. «Le famiglie comprimono le spese - continua il sociologo - prima quelle destinate agli adulti e per ultime quelle dei bambini. Ma lo sforzo per risparmiare, psicologicamente ci fa star male». E questo senso diffuso di crisi, secondo De Masi, è dannoso per due ragioni: «Si spende di meno e di conseguenza si rallenta la produzione e la ripresa. E poi si smette di progettare il futuro, si vive alla giornata. Ma in questo modo si riduce la creatività di un paese. Insomma, siamo un po’ fregati».
Cambiano le abitudini. «Sono colpiti non solo i redditi bassi, ma anche quelli medi», dice Rosario Trafiletti, presidente della Federconsumatori. «Si rinuncia al superfluo, ovviamente, ma si sta molto attenti anche con i beni di prima necessità. Negli ultimi due anni il consumo di frutta e verdura è sceso del 12 per cento circa per via dell’aumento dei prezzi in questo settore». E quando si fa la spesa, non si sta più tanto attenti alle marche. «C’è un’inversione di tendenza negli acquisti: prima si guardava alla qualità dei prodotti scelti - aggiunge Trafiletti - adesso molto meno. E questo avrà delle ricadute anche sulla produzione: le aziende che puntano sulla qualità dovranno fare i conti con queste nuove abitudini».
Strategie di risparmio? «E’ aumentato l’acquisto della carne e del pesce al supermercato, conviene rispetto alla macelleria e alla pescheria», dice Carlo Rienzi, presidente del Codacons. «Più cene a casa e noleggio di cassette o dvd da parte di due, tre famiglie per dividere la spesa. E i giovani che vanno in un locale, invece di ordinare una consumazione ciascuno, prendono una bottiglia in dieci». Si riscoprono i mercati rionali. Marco Venturi, presidente nazionale della Confesercenti: «I consumatori si sono accorti che nella grande distribuzione il costo dell’ortofrutta è più alto, così tornano ai mercatini e non si fermano ai primi banchi, ma scelgono. Si aspettano i saldi, ma si acquista solo lo stretto necessario: la stagione degli sconti si chiuderà con un bilancio nel complesso negativo». In calo l’acquisto dei beni cosiddetti durevoli (elettrodomestici, hi-fi): meno 1,8 per cento lo scorso anno. «La perdita del potere d’acquisto dei consumatori è reale - sostiene Venturi - ma non è legata solo all’aumento dei prezzi. Non c’è stata crescita e non mi sembra che siano state fatte delle manovre che permettono un rilancio dell’economia».
Per il sociologo Domenico De Masi, l’Italia di oggi ricorda l’Inghilterra della Thatcher o gli Stati Uniti di Reagan. «La spinta liberista impoverisce e schiaccia il ceto medio che rischia di diventare proletario». Che si tratti di un impoverimento reale o solo percepito, le conseguenze sono le stesse. «Le famiglie comprimono le spese - continua il sociologo - prima quelle destinate agli adulti e per ultime quelle dei bambini. Ma lo sforzo per risparmiare, psicologicamente ci fa star male». E questo senso diffuso di crisi, secondo De Masi, è dannoso per due ragioni: «Si spende di meno e di conseguenza si rallenta la produzione e la ripresa. E poi si smette di progettare il futuro, si vive alla giornata. Ma in questo modo si riduce la creatività di un paese. Insomma, siamo un po’ fregati».
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