Da Il Messaggero del 14/02/2004

Peggio del previsto

di Enrico Cisnetto

TUTTO come previsto: un vero disastro. Dopo Francia, Germania e Olanda che giovedì avevano denunciato un prodotto interno lordo del 2003 rispettivamente a +0,2% (peggiore risultato dell'ultimo decennio), a -0,1% e -0,8% rispetto all'anno precedente ieri è stata la volta dell'Italia ad annunciare che la ricchezza nazionale si è incrementata soltanto dello 0,4%. Un risultato deludente non solo perché è esattamente come quello del 2002 e risulta inferiore a quello fissato dal governo (+0,5%), ma soprattutto perché segnala una frenata nell'ultimo trimestre, proprio quando si sarebbero dovute vedere le prime tracce della ripresa (che, seppure timidamente, si scorgono in Europa). Invece, tra ottobre e dicembre, crescita zero: inevitabile, visto che nell'ultimo mese dell'anno la produzione industriale ha accusato un calo dello 0,2% sia rispetto a novembre sia rispetto ad un anno prima, chiudendo l'intero 2003 in calo dello 0,8%. E nessun segnale, né sul fronte produttivo e degli investimenti, né su quello dei consumi interni, indica un'inversione di tendenza per il primo trimestre di quest'anno, che certo risulterà condizionato dal pessimo andamento dell'export, particolarmente mortificato dal super-euro.

Così, se fino a ieri potevamo dire che tra i paesi che hanno la nostra stessa moneta c'era chi stava peggio, ora rischiamo di diventare il "fanalino di coda" (parola di Antonio D'Amato) della pur lenta Eurolandia. Ma la cosa che fa più rabbia, è che si tratta di un disastro annunciato. Già nel 2001, subito dopo le elezioni, furono indicati per quell'anno e soprattutto per quello successivo tassi di crescita assolutamente irrealistici: rispetto al +3,1% previsto del 2000 si scese all'1,8%, ma soprattutto nel 2002 non si sfiorò neppure il 2,3% che il Tesoro aveva indicato ad inizio anno come traguardo possibile, finendo con un disastroso +0,4% dopo una penosa serie di correzioni al ribasso in corso d'opera. La stessa scena si è poi ripetuta l'anno scorso, più o meno di questi tempi: «Siamo alla fine del tunnel, la ripresa sta arrivando», fu la promessa poco ponderata. Senza tener conto neppure della cabala, si indicò ancora nel 2,3% il tasso di crescita del pil. Quindi sono seguiti i soliti aggiustamenti di tiro, fino a quello 0,5% che si è rivelato un pelo troppo ottimista rispetto allo 0,4% annunciato ieri dall'Istat (a proposito: sarà difficile smentire questo dato, negativo per il governo, dopo aver definito "scientifici" quelli, favorevoli, relativi all'inflazione).

Ora il rischio è di ripetersi, e come si sa «perseverare è diabolico». Già prima di Natale, quando il terzo trimestre pareva un poco migliore del previsto e non si conosceva l'andamento dell'ultimo, era partita una "campagna dell'ottimismo". Che ha poi ripreso slancio con la performance televisiva di Berlusconi di mercoledì: nel salotto di Vespa, il premier si è lasciato andare non solo a previsioni rosee, ma ha sostanzialmente dichiarato chiusa la lunga stagione di crisi economica, quella che da queste colonne abbiamo chiamato "stagnazione permanente". Purtroppo, così non è. Ma soprattutto, riproporre durante la campagna elettorale per il voto europeo l'idea che il taglio delle tasse arriverà perché quest'anno la crescita sarà forte, rischia davvero di mandare in cortocircuito quel poco di fiducia che è rimasto nel Paese. Intanto perché il programma di Berlusconi era «abbassiamo le tasse per spingere la ripresa», e non viceversa. E poi perché, dopo aver già raschiato il barile dei condoni e delle una-tantum, non sapremmo proprio cosa inventarci per far quadrare dei conti che risultassero sballati sul lato del pil per l'ennesimo eccesso di ottimismo.

Non a caso il commissario europeo Solbes la nostra "bestia nera" ha già detto che quest'anno l'Italia rischia di sforare il tetto del 3% del rapporto tra deficit e pil. Cosa che è capitata anche a Francia e Germania, mettendo in moto un contrasto tra Bruxelles ed Ecofin che rischia di far saltare i patti di stabilità, ma che a noi non sarebbe perdonata per via del peso del debito.

Insomma, sarebbe bene guardare in faccia la realtà, anziché baloccarci con un ottimismo fuori luogo: quello se lo possono permettere Bush e Greenspan, visto che nel 2004 gli Stati Uniti cresceranno tra il 4,5% e il 5%, migliorando un già ottimo 2003 (+4,3%). E la realtà dice che la congiuntura sarà ancora negativa, senza interventi strutturali interni ed europei. Purtroppo, i sorrisi non producono ricchezza e non contano nelle rilevazioni del pil.

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