Da Corriere della Sera del 13/02/2004

Un’Italia vulnerabile

di Dario Di Vico

All’inizio dell’inchiesta «Profondo Italia» capitò un episodio assai significativo. Volevamo capire come funzionava davvero il sistema di rilevazione dei prezzi dell’Istat. Incontrammo un gruppo di dipendenti del Comune di Roma, gli stessi che girano tra i banchi dei supermercati e controllano i prodotti inseriti nel paniere ufficiale. I rilevatori difesero, come è giusto che fosse, la serietà del loro lavoro e la scientificità delle procedure dell’Istat. Poi, alla domanda se nella veste di consumatori, a loro volta, avessero percepito negli ultimi due anni un’inflazione più alta di quella ufficiale, i tecnici del Comune, dimostrando grande onestà intellettuale, risposero affermativamente. L’episodio è gustoso perché spiega meglio di cento tabelle cosa stia avvenendo. Si è aperta una forbice tra statistiche ufficiali e percezione popolare, tra indicatori macroeconomici ed opinione pubblica. Un quotidiano nei giorni scorsi, con felice sintesi, ha titolato «Per l’Istat i prezzi sono calati ma le famiglie non ci credono». Le cose paradossalmente potrebbero stare proprio così.


L’INDIVIDUALIZZAZIONE - I sociologi come Massimo Paci che stanno lavorando a questi temi lo chiamano «processo di individualizzazione», in soldoni vuol dire che mai come adesso l’opinione pubblica non può essere incanalata nei tradizionali percorsi della rappresentanza politica e sindacale. C’è una maggiore fluidità, i cambiamenti di orientamento sono all’ordine del giorno e vanno monitorati con maggiore attenzione di quanto è stato fatto in passato. Se nella fase di superamento della lira e di nascita dell’euro si fosse prestata più accortezza nel rilevare gli umori degli italiani forse si sarebbe evitato di metterne alla prova, ancora una volta dopo l’eurotassa, la fedeltà alla prospettiva comunitaria. Le percezione è dunque un fenomeno importante, che diverge dalle verità politiche, apre dei rischi ma non è detto che di per sé sia un male. Se non altro perché è anche lì che trova alimento una stampa libera e indipendente. Il guaio si crea se la forbice tra dati governativi e percezione popolare si allarga oltre il lecito.

Queste riflessioni portano a dire che gli italiani sono solo vittima di un incubo, che l’impoverimento delle classi medie è il mero frutto della propaganda di qualche improvvisato Grande Fratello ? Orwell quando scrisse il suo libro pensava già all’Eurispes? No, un’analisi serena del paesaggio sociale dell’Italia del 2004 porta necessariamente a sottolineare alcuni fenomeni. Il disagio abitativo esiste eccome ed è localizzato principalmente nel Nord-Ovest dove gli affitti hanno corso di più, persino i bancari che erano l’aristocrazia del ceto medio oggi rischiano il posto di lavoro, anche i dati Istat sulle retribuzioni segnalano una dinamica assai rallentata a danno di quelle più basse, chi riesce a risparmiare non sa dove mettere i suoi soldi, nel primo semestre del 2003 sono stati 30 mila i negozi al dettaglio che hanno abbassato definitivamente la saracinesca e tra coloro che li hanno sostituiti sperando di inventarsi commercianti quattro su cinque abbandonano nel giro di un paio d’anni.

A Roma nel quartiere Eur la licenza di un bar con Enalotto e Totocalcio in 12 mesi ha cambiato per tre volte proprietario. Se poi aggiungiamo il boom delle separazioni tra coniugi che raddoppia molte spese, un fenomeno che si è abbattuto soprattutto sui ceti medi (gli ultimi dati del 2001 segnalano che circa il 50% ha riguardato impiegati e lavoratori autonomi) il quadro è completo. Tutto ciò è interamente imputabile al governo Berlusconi? Chi a questa domanda risponde affermativamente lo fa per spirito di parte. I guasti della società italiana di oggi sono il portato di un lungo ciclo politico ed economico nel quale si sono accumulate contraddizioni e si sono lesinate le riforme.


WELFARE E INNOVAZIONE - L’impoverimento del ceto medio è la versione italiana di quella solitudine del cittadino globale che un sociologo attento come Zygmunt Bauman ha segnalato da tempo. Si è più poveri non solo a causa della perdita di potere d’acquisto ma anche perché alcuni valori-simbolo come la moderazione, la laboriosità, il merito, la mobilità sociale hanno subito una colossale svalutazione. E il fenomeno è valido prima di tutto per le classi medie che, gioverà ricordarlo, hanno storicamente garantito in Italia, forse più che altrove, un equilibrato compromesso tra efficienza economica, coesione sociale e libertà politica. Prima di chiedersi se è vero o no che il Paese sta declinando, un pezzo importante della società ha già interiorizzato la retrocessione. Stando così le cose che può fare la politica? Molto, viene da rispondere. Soprattutto se una parte di essa eviterà di ridurre l’impoverimento a litania elettoralistica e l’altra rinuncerà a gridare all’ennesimo complotto. C’è tanto da fare perché la vulnerabilità delle classi medie le spinge a chiedere nuove garanzie, un welfare esclusivamente risarcitorio. Ma ben sappiamo che l’Italia ha bisogno di rimettersi in moto, di crescere, di innovare. Il cerchio va quadrato e non si può aspettare la fine di un lungo ciclo elettorale.

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