Da Corriere della Sera del 11/02/2004
Il conflitto iracheno
Iraq, strage di reclute della nuova polizia
di Lorenzo Cremonesi
ISKANDARIYA - Nuovo attentato contro una stazione di polizia in Iraq. Ieri mattina alle 9 e mezzo un'autobomba, forse un camioncino Toyota, è esplosa di fronte al commissariato di Iskandariya, 55 chilometri a sud di Bagdad. E ancora una volta a venire massacrati sono gli agenti delle nuove forze dell'ordine irachene. Secondo stime approssimative i morti sono 55, i feriti una settantina. Uomini che dovrebbero portare la normalità nell'Iraq del dopo-Saddam. Ma che la guerriglia considera «collaborazionisti» degli americani, da eliminare con ogni mezzo. La dissuasione con il terrore: questa volta la novità è che la maggioranza non sono neppure poliziotti, ma aspiranti tali. Giovani che stavano in coda di fronte alla palazzina a un piano del commissariato devastato nella speranza di venire reclutati.
Quando arriviamo sul posto le truppe americane bloccano la zona. Gruppi di abitanti, per lo più giovanissimi, gridano la loro rabbia «contro l'occupazione». Nel cortile semidistrutto c'è il comandante della base, colonnello Abdel Rahim Salem. «Ma sono musulmani questi? Persino chiamarli terroristi è troppo per loro. Sono criminali, volgari banditi, assassini», esclama tra le lacrime. Sapeva bene di essere nel mirino della guerriglia, anche se in questa città mista di sciiti e sunniti dal dopoguerra non c'era mai stata una violenza tanto grave. «Solo tre o quattro volte hanno tirato raffiche di mitra contro l'edificio», ricorda. Però non immaginava proprio che a morire non sarebbero stati solo i suoi agenti, ma soprattutto quella lunga coda di giovani che venivano da tutta la provincia nella speranza di trovare lavoro. Anche se pagati 150 dollari al mese. Lui aveva fatto un bando per 100 reclute, se ne era trovati più di 400 sotto le finestre dell'ufficio. Quanti morti? «Non so ancora, certo oltre 50. Più tanti feriti, li ho visti partire sulle ambulanze, coperti di sangue. La maggioranza erano civili, giovani non ancora ventenni, potevano essere i miei figli», risponde.
Al piccolo ospedale cittadino hanno subito evacuato i casi più gravi. «Una trentina di loro sono stati mandati a Bagdad e Hilla. Noi abbiamo consegnato 50 certificati di morte», dice il direttore, Razak Jabar. «Siamo in emergenza. Neppure durante la guerra abbiamo avuto tanti ricoveri», aggiunge. C'è invece meno sorpresa tra i quadri americani e della polizia centrale irachena a Bagdad. Dai primi di luglio gli agenti iracheni morti sono quasi 400 (per certe fonti sino a 600). Iskandariya va ad aggiungersi alla lista degli attentati più gravi: 27 ottobre, una ventina di morti in 4 commissariati nella regione di Bagdad; 22 novembre, 18 morti a Baquba e Khan Bani Saad; 14 dicembre a Khalidiya (17 morti); 31 gennaio a Mosul (9 morti). Ieri inoltre 4 agenti sono rimasti dilaniati da un ordigno.
Quando arriviamo sul posto le truppe americane bloccano la zona. Gruppi di abitanti, per lo più giovanissimi, gridano la loro rabbia «contro l'occupazione». Nel cortile semidistrutto c'è il comandante della base, colonnello Abdel Rahim Salem. «Ma sono musulmani questi? Persino chiamarli terroristi è troppo per loro. Sono criminali, volgari banditi, assassini», esclama tra le lacrime. Sapeva bene di essere nel mirino della guerriglia, anche se in questa città mista di sciiti e sunniti dal dopoguerra non c'era mai stata una violenza tanto grave. «Solo tre o quattro volte hanno tirato raffiche di mitra contro l'edificio», ricorda. Però non immaginava proprio che a morire non sarebbero stati solo i suoi agenti, ma soprattutto quella lunga coda di giovani che venivano da tutta la provincia nella speranza di trovare lavoro. Anche se pagati 150 dollari al mese. Lui aveva fatto un bando per 100 reclute, se ne era trovati più di 400 sotto le finestre dell'ufficio. Quanti morti? «Non so ancora, certo oltre 50. Più tanti feriti, li ho visti partire sulle ambulanze, coperti di sangue. La maggioranza erano civili, giovani non ancora ventenni, potevano essere i miei figli», risponde.
Al piccolo ospedale cittadino hanno subito evacuato i casi più gravi. «Una trentina di loro sono stati mandati a Bagdad e Hilla. Noi abbiamo consegnato 50 certificati di morte», dice il direttore, Razak Jabar. «Siamo in emergenza. Neppure durante la guerra abbiamo avuto tanti ricoveri», aggiunge. C'è invece meno sorpresa tra i quadri americani e della polizia centrale irachena a Bagdad. Dai primi di luglio gli agenti iracheni morti sono quasi 400 (per certe fonti sino a 600). Iskandariya va ad aggiungersi alla lista degli attentati più gravi: 27 ottobre, una ventina di morti in 4 commissariati nella regione di Bagdad; 22 novembre, 18 morti a Baquba e Khan Bani Saad; 14 dicembre a Khalidiya (17 morti); 31 gennaio a Mosul (9 morti). Ieri inoltre 4 agenti sono rimasti dilaniati da un ordigno.
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