Da Il Mattino del 02/02/2004

Terrore sulla «festa del sacrificio» musulmana. Uccisi anche il governatore della regione e alti dirigenti

Kamikaze in Iraq, strage tra i curdi

Colpite ad Arbil le sedi dei due maggiori partiti filo-americani: più di 50 morti

Allarme sugli aerei per gli Usa: pericolo di attacchi chimici. Pisanu: voli sicuri in Italia

di Vittorio Dell'Uva

Curdi i morti, curdi gli attentatori. In altri tempi, fatto il conto delle vittime, la duplice strage sarebbe stata archiviata come il sanguinoso effetto di una faida interetnica in una delle regioni rese dalla natura tra le più ricche di petrolio del mondo e nella quale in troppi vivono da derelitti. Così usava quando l’attenzione per l’Iraq appena si attivava per le repressioni «domestiche» e alla «questione» della nazione curda abitata da un popolo senza Stato si guardava con il distacco riservato ai rebus geopolitici apparentemente irrisolvibili.

Ma lo scenario sul quale si sono mossi i due kamikaze di Arbil, e la stessa scelta dei tempi, inducono a risalire ad una strategia del terrore di ampio respiro, opposta dai gruppi oltranzisti al processo di normalizzazione che porta la sigla degli Stati Uniti. Il nazionalismo iracheno presente anche dove non dovrebbe allignare, come nel Kurdistan, si fonde con l’estremismo religioso risorgente in quella che è stata la terra dei laici.

Più sfide partono da quanti hanno benedetto i «martiri» incaricati di morire e di uccidere nelle sedi del Pdk e dell’Upk di Arbil, nel giorno in cui l’Islam celebrava la ricorrenza dell’Eid.

Poco accade per caso nell’Iraq del dopo Saddam in cui è rimasta attiva la grande ragnatela di complicità ed interessi lasciata in eredità dal regime. I limiti che la massiccia presenza di truppe occupanti pongono alla lotta di liberazione, in cui ancora credono gli irriducibili, vengono in qualche modo aggirati dal quotidiano ricorso alla vendetta nei confronti dei «collaborazionisti». E con il terrorismo si prova ad incidere sui processi politici che si vanno delineando.

Jalal Talabani, leader dell’Upk, è stato tra gli alleati di Bush lungo il fronte del nord nei giorni dell’avanzata americana. E con lui il suo nemico di sempre Massud Barzani il capo del Pdk. Molto agli occhi dei fedelissimi del rais hanno peccato mettendo a disposizione le loro milizie. Ma soprattutto ancora peccano per essersi fatti ispiratori di un progetto costituzionale che, prevedendo un impianto federale per il nuovo Iraq, dovrebbe spianare la strada per la indipendenza del Kurdistan nord-orientale, dal cui sottosuolo è possibile estrarre almeno un milione e mezzo di petrolio al giorno. Appena ieri l’altro proprio ad Abril era cominciata la raccolta di firme per promuovere il federalismo, visto dai nazionalisti iracheni e dai loro alleati sul campo come la prima tappa di un intollerabile smembramento.

Incidere sui curdi con operazioni kamikaze di matrice religiosa nel giorno dell’Eid, acquista, comunque, anche ben altri significati arricchiti da inequivocabili messaggi sul piano regionale. Se i sospetti sono fondati, è nella «famiglia» dell’Ansar Al Ismani, il gruppo terroristico curdo di matrice islamica legato ad Al Qaida che sarebbero stati selezionati i «martiri» di Abril. Gli americani sono avvertiti che l’infiltrazione dell’organizzazione di Osama Bin Laden, in un Iraq da cui era stata tenuta lontana dal rais, non è più soltanto una ipotesi plausibile. Né manca l’ennesimo messaggio a quanti tra i musulmani hanno accettato l’alleanza con gli «infedeli».

«Il terrorismo è contro l’Islam» ha tuonato il gran mufti dell'Arabia Saudita nel salutare i pellegrini convenuti alla Mecca. Un altro Islam che fa proseliti disposti a morire pur sempre nel nome di Allah, gli ha risposto poche ore dopo da Abril.

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