Da Corriere della Sera del 01/02/2004

La manovra economico-finanziaria della Casa Bianca sarà presentata domani al Congresso

Usa, i tagli di Bush contro il deficit record

Il debito complessivo dell’America è il 200% del prodotto interno. L’incognita dei tassi

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Prima ancora che sia presentato domani al Congresso, il bilancio preventivo per l’anno finanziario 2004-2005 di George Bush suscita una rivolta. Anche all’interno del partito repubblicano, al punto che ieri il presidente si è recato a una riunione dei leader della sua maggioranza in Pennsylvania per sedarla. Da indiscrezioni della Casa Bianca il bilancio, di 2.300 miliardi di dollari, prevede uno dei massimi deficit della storia: 520 miliardi, il 5% del prodotto interno lordo americano (il record appartiene all’amministrazione Reagan, con il 6%). Nulla a che vedere con i «miseri» parametri di Maastricht con i quali devono fare i conti i Paesi europei. Il deficit federale preoccupa i repubblicani che paventano un analogo disavanzo della bilancia commerciale, pari a 500 miliardi, e sono in allarme anche per l’enorme indebitamento privato: è pari all’83% del Pil quello dei cittadini ed è quasi il 100% del Pil quello delle imprese.

Nel consueto discorso radiofonico del sabato, Bush ha sostenuto che il bilancio «è finanziariamente sano», e che l’aumento delle spese militari, il 7%, per un totale di oltre 400 miliardi, un primato, e della sicurezza nazionale, ben il 10%, è reso necessario dalla campagna globale contro il terrorismo. Ma ha tradito il suo disagio chiedendo che l’aumento delle altre uscite sia limitato per legge al 4 o all’1%, a seconda della loro natura. E’ una richiesta senza precedenti, che difficilmente il Congresso accoglierà. Bush però avverte: senza simili paletti «il deficit non si dimezzerà in 5 anni come da noi programmato», e insiste che non aumenterà mai le tasse, semmai le dimezzerà ancora.

Per Bush, il debito pubblico e privato americano rischia di diventare una mina vagante nella campagna elettorale, oltreché un freno all’economia. Secondo il New York Times , alla fine del terzo trimestre del 2003 il debito delle famiglie era l’83% del Pil, contro il 70% del ’99, e ciascuna devolveva il 13,3% del proprio reddito al pagamento degli interessi. Anziché risparmiare, ha rilevato il giornale, gli americani hanno consumato, promuovendo la ripresa economica. Allo stesso modo il debito delle imprese era il 95% circa del Pil, contro il 70% del ’99, ma sembrava avviato a una riduzione. Cumulando il debito pubblico e privato, la Superpotenza, il massimo debitore del mondo e della storia, sfiora il 200% del Pil, una potenziale crisi. Neppure l’Italia nel periodo più buio si era trovata in questa condizione, grazie all’alto tasso di risparmio dei suoi cittadini.

E’ il motivo del declino degli indici di Wall Street la settimana scorsa, dopo una lunga ascesa. Lo slogan non solo dei consumatori e del mondo degli affari Usa, ma anche della amministrazione Bush pare essere: «Niente risparmi, siamo americani».

La Borsa si è chiesta che cosa accadrebbe se la Federal Reserve, la banca centrale, «sgonfiasse» la bolla del credito facile rialzando gli interessi, per la prima volta dal maggio 2000, come ha segnalato essere sua intenzione nei mesi prossimi. Attualmente i tassi d’interesse sono all’1%, il minimo degli ultimi 45 anni, ma il debito è causa d’inflazione. La speranza della Borsa è che le imprese, i cui profitti stanno aumentando rapidamente, reggano a un lieve e graduale rialzo dei tassi, sopperendo con gli investimenti al rallentamento dei consumi. E’ già avvenuto nell’ultimo trimestre, quando il Pil è salito del 4%, contro l’8,2 del precedente.

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