Da La Repubblica del 04/01/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/a/sezioni/economia/redditi/statosociale/...

Dalle scuole alla sanità i servizi diminuiscono o diventano più cari: a subirne le conseguenze è l'universo femminile

Lo Stato sociale si fa piccolo donne costrette a tornare a casa

Le storie di Lucia, estetista di Roma, e Livia, notaio di Napoli: tutt'e due obbligate a "ritirarsi" per fare le madri a tempo pieno

di Concita De Gregorio

ROMA - Lucia ha 29 anni, fa l'estetista in un negozio di periferia, tiene un quaderno con i suoi appuntamenti e con le cifre: ore 9, pulizia viso, 20 euro; ore 11, ceretta intera, 20 euro. Lavora tutto il giorno, è molto brava, nel quartiere chi ha bisogno chiede di lei. Arriva a 6-700 euro al mese, niente assicurazione niente contributi perciò una parte li mette via per un fondo pensione. A novembre ai suoi clienti ha lasciato un biglietto: dall'anno nuovo smetto, rivolgetevi a Ginevra. Lucia smette di lavorare perché non hanno preso sua figlia al nido. A Roma come a Bologna e a Milano e in tutta Italia quest'anno negli asili nido non c'erano posti per tutti: seimila, ottomila posti in meno a botta. "Mi hanno detto non c'è posto, non c'è niente da fare. Mia madre non può aiutarmi, abita lontano e lavora anche lei. Mia suocera non sta bene siamo noi che dobbiamo accudirla. Pagare un asilo privato mi costerebbe più di quello che guadagno: 350 euro al mese, più la baby sitter fino alle otto. Perciò cosa devo fare? Sto a casa io. Certo che mi dispiace, ho studiato tanto perché volevo avere un lavoro mio, dei soldi miei e non dover chiedere a nessuno. L'idea di dipendere da mio marito non mi piace, però pazienza".

Le donne tornano a casa. Addestrate alle rinunce, alla prima falla di sistema tornano indietro nel tempo e nello spazio: a casa, come cinquant'anni fa, ad accudire i figli e i vecchi. Mantenute dai padri o dai mariti, inchiodate al ruolo domestico che certo può essere anche lusinghiero e gratificante per chi ne abbia la vocazione, ma se sei costretta è un'altra storia.

Lucia che dal primo gennaio rinuncia al lavoro è il punto esatto in cui i discorsi della politica diventano realtà. I tagli alla spesa pubblica, all'assistenza, alla scuola, alla sanità (quello che per anni si è chiamato Stato sociale e che ora che sta sparendo si chiama welfare, magari in inglese l'evanescenza si nota meno) comportano tanto per cominciare che qualcuno deve pur occuparsi dei bimbi dei malati dei genitori anziani.

Certo che ci sono le strutture private che funzionano benissimo, però costano: se guadagni 600 euro non ne puoi pagare 350 di asilo, né puoi chiamare l'infermiera a domicilio per tua madre e poi pagare anche l'affitto, e fare la spesa. Così le donne tamponano la falla. Già in Italia il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi d'Europa: al sedicesimo posto, dopo c'è solo la Grecia. Il danno - per chi non voglia tener conto del salto all'indietro culturale, decenni di battaglie per l'emancipazione l'uguaglianza dei diritti le pari opportunità che hanno battezzato persino un ministero - il danno è anche economico. Non guadagnano, non spendono: hai voglia di fare campagne di pubblicità per invitare la gente a muovere l'economia, se non lavori soldi da spendere non ne hai.

Livia fa il notaio a Napoli. Faceva, studio associato. Poi lei e suo marito hanno adottato un bambino bosniaco, 5 anni, superstite di una famiglia massacrata. Il bambino sta bene fisicamente, però bisogna immaginarsi cosa pensa cosa sogna. Ha qualche problema di inserimento e di apprendimento, dicono in gergo neutro. A scuola sta solo in un angolo, è violento con chi si avvicina. Non è difficile capire che ha bisogno di aiuto. "In base alla riforma della scuola pubblica - spiega Livia - la difficoltà di apprendimento che deriva da problemi familiari o affettivi non è riconosciuta come handicap. E' una disabilità, e diventa complicatissimo in queste condizioni avere un insegnante di sostegno. Io ho lasciato il lavoro già quest'anno e lo seguirò personalmente in futuro, e sono fortunata perché me lo posso permettere. Mi domando se quei politici che invitano ad adottare figli anziché ricorrere alla fecondazione assistita sappiano di cosa ha bisogno un bambino che ha conosciuto il dolore. Naturalmente una famiglia, ma poi anche una rete di assistenza pubblica. La nostra scuola è al collasso, non ce la fa: certo, sarebbe più facile per noi inserirlo in una privata con 12 bambini per classe anziché 28, e due insegnanti fissi in aula. Però ne facciamo una questione di principio, la scuola pubblica deve essere il posto di tutti".

La riforma Moratti ha previsto l'abolizione del tempo pieno nella scuola dell'obbligo. Figli a casa all'una anziché alle cinque. C'è stata in tutta Italia una rivolta di popolo fra genitori e insegnanti, si è mossa l'Associazione nazionale dei Comuni, infine nel decreto attuativo della riforma è stata reintrodotta una formula spuria che somiglia al vecchio dopo scuola, e che sarà comunque valida solo per un anno: il prossimo. L'abolizione del tempo pieno (il 17 gennaio ci sarà a Roma una manifestazione nazionale per contestarla) comporta per i bambini un danno didattico, per il paese un mutamento sociale. Altre donne torneranno a casa.

"Saranno le donne, naturalmente a farsi carico del danno - dice Bruna Sfera, insegnante elementare - le madri e le maestre. Coi figli che tornano a casa per pranzo quante donne potranno continuare a lavorare? Quante si sentiranno in coscienza di lasciarli al parcheggio del dopo scuola con precari sottopagati assunti a fare da baby sitter? Si vogliono favorire le scuole private, è chiaro: ma poi di questi tempi quanti sono quelli che possono permettersele? E' una riforma per ricchi".

Precari sottopagati. "La scuola dev'essere una priorità", ha detto Ciampi nel messaggio agli italiani. Ma le insegnanti della scuola dell'obbligo, in grandissima prevalenza donne, guadagnano in un mese quanto un idraulico di successo in un giorno. Lo studio, la ricerca sono considerati settori non produttivi. La nuova Finanziaria ha tagliato altri fondi riducendoli, in certi settori, quasi a nulla. Un ricercatore con contratti a termine vive con 800 euro al mese. Uno di ruolo, che abbia vinto un concorso, con 1200. Lo studio finalizzato all'insegnamento è diventato un non-senso economico, oltre che una via crucis deprimente: si arriva quasi a 40 anni sulle spalle della famiglia di origine e ci si avvia verso i 50 senza essere in grado di mantenere la propria, ammesso che nel frattempo si sia riusciti a farsene una. E' successo nell'arco di un ventennio. Fino alla generazione scorsa chi sceglieva lo studio e la carriera universitaria arrivava a 40 anni in grado di mantenere una famiglia anche numerosa col suo solo stipendio: mantenere in modo più che dignitoso, e in un contesto di prestigio sociale.

Questa è la storia di Gloria, 38 anni, che lavora all'università adesso: "Dopo la laurea ho avuto un dottorato per quattro anni, e sono arrivata a 28. Poi sono cominciati i contratti a termine, mi davano circa 400 mila lire al mese per fare attività didattica: esami, lezioni. Ovviamente vivevo dai miei, ci sono rimasta fino a 32 anni. Una sede universitaria molto lontana da Roma mi ha offerto un contratto co. co. co. per 1200 euro lordi all'anno. Mi sono messa a fare supplenze, aspettavo un concorso. Quello che guadagnavo non copriva le spese di viaggio, praticamente lavoravo gratis. Ovviamente ho dovuto rinunciare ai figli, come tutte le mie colleghe che non hanno il sostegno della famiglia o un compagno che le mantenga. Non ti puoi permettere di avere un figlio in queste condizioni: la maternità non è prevista, non è pagata. Devi smettere di lavorare, non prendi una lira e non sai se avrai ancora il posto al ritorno: impossibile. Così sono arrivata a quasi 40 anni, adesso ho un assegno di ricerca di 1000 euro al mese, più o meno. Può durare per quattro anni al massimo. Poi dovrò aspettare un altro concorso. Se mi va bene comincerò ad avere un ruolo didattico e uno stipendio che mi consenta di vivere da sola verso i 50 anni". 50 anni per debuttare in una vita adulta autonoma per una donna è un po' tardi. E' più il tempo dietro che quello che resta.

Sarà anche per questo che alla facoltà di Fisica della Sapienza quest'anno, alla facoltà che fu di Fermi, a fine ottobre risultavano iscritte cinque matricole. Cinque. Speriamo che almeno tre diventino insegnanti di fisica nei licei per il 2012. Non conviene, studiare: non rende. Alle donne di questi tempi meno che mai: tra rinunciare al lavoro di estetista per accudire un figlio e rinunciare ai figli per lavorare gratis è comunque una triste lotteria.

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