Da Corriere della Sera del 31/01/2004

La Casa Bianca considera il vincitore di Iowa e New Hampshire lo sfidante da battere

Bush «pedina» John, il vecchio kennediano

di Ennio Caretto

WASHINGTON - E' già duello a distanza tra John Kerry e il presidente Bush, che senza darlo a vedere ne fa il suo bersaglio principale. Il senatore kennediano vola nei sondaggi elettorali del Missouri e dell'Arizona, dove ha un vantaggio rispettivamente di 34 e 24 punti sui rivali, tallona John Edwards nella Sud Carolina di un solo punto, insegue Wesley Clark nell’Oklahoma avanti di 8 punti. La sua marcia appare inarrestabile, al punto che Howard Dean, vittima del suo sorpasso in Iowa e New Hampshire, lascia il profondo sud e il west dove si voterà martedì, per concentrarsi sui grandi Stati industriali del Michigan e dell'Illinois, dove si voterà il 7 e il 17 febbraio.

L'ex governatore del Vermont spiega così la sua strategia: «Non serve vincere tante piccole primarie, serve raccogliere il maggior numero di delegati alla convention». Ma sembra la storia della volpe e l'uva. Salvo un clamoroso incidente di percorso, Kerry appare irraggiungibile per Dean, e forse anche per Edwards e Clark, che pure martedì potrebbero sottrargli due o tre Stati dei sette in palio.

Di fatto, Bush si comporta come se le primarie fossero finite e lo scontro fosse ridotto a due. Il presidente non si espone troppo di persona. Si limita a recarsi nel New Hampshire, due giorni dopo il trionfo di Kerry, che gli ha sottratto il 2% degli elettori repubblicani. E senza farne il nome, lo attacca: denuncia i liberal come il senatore, «uomini di ieri e non di oggi»; dichiara che l'economia è in ripresa e i nuovi posti di lavoro, ancora mancanti, prossimi a venire; difende «la giusta guerra» in Iraq.

Sulla via del ritorno, si ferma nel Connecticut a raccogliere fondi elettorali: è già arrivato a 131 milioni di dollari, un record, quasi 5 volte quanto ha raccolto Kerry.

Ma la Casa Bianca non nasconde che il presidente tallonerà il senatore, la prossima settimana farà sentire la sua voce anche nel Sud e all’Ovest. A Washington si sa che Karl Rove, il suo guru elettorale, è preoccupato: la sua strategia era diretta a sconfiggere Dean, ora la sta cambiando, considera Kerry un osso duro.

Lo dimostrano gli spot televisivi repubblicani. Dean vi compare sempre meno, Kerry sempre più. Il senatore del Massachusetts viene accusato di essere una banderuola e un potenziale capo supremo delle forze armate inaffidabile: «Sì, fu un eroe della guerra del Vietnam - dice uno spot - ma nel '91 votò contro la guerra del Golfo, per votare poi a favore di quella del 2003». Un altro rinfaccia a Kerry di essersi sempre opposto a deregulation e privatizzazioni, piatti forti di Bush, ossia di essere un democratico «tassa e spendi», nostalgico dello stato assistenziale.

Il Washington Times , il quotidiano dei neoconservatori, gli rinfaccia persino di essersi fatto fare iniezioni di botulino per spianare le rughe del volto (ma lui smentisce), e di essere passato «da lineamenti scavati alla Lincoln» «a fattezze giovanili di stampo hollywoodiano». Stephanie Cutter, una portavoce del senatore, reagisce bruscamente: «Siamo già alle calunnie. Il problema dei repubblicani è la forza del nostro candidato, che mancava invece a Dean».

Non sembra avere tutti i torti. Da quando il sondaggio di Newsweek ha dato Kerry in vantaggio su Bush 49 a 46, la Casa Bianca è in allarme. E' persuasa che il presidente verrà rieletto, ma avrebbe preferito avere a che fare con Howard Dean, un pacifista populista più facilmente attaccabile. Dopo la duplice sconfitta in Iowa e New Hampshire, Dean si è sbarazzato di Joe Trippi, il mago che lo aveva portato in pole position alle primarie, e lo ha sostituito con Roy Neel, il manager dell'ex vicepresidente Al Gore, un errore stando a molti esperti.

I bushiani ora sperano che le dispute tra democratici nei prossimi giorni mettano a nudo le pecche del rivale. Sennonché nel dibattito alla tv di giovedì notte, ieri mattina in Italia, gli altri candidati democratici si sono dimostrati morbidi nei suoi confronti. Solo Dean e Clark lo hanno attaccato come «un insider di Washington», uno dei responsabili delle difficoltà economiche e sociali del Paese e del pasticcio dell'Iraq. «L'America - ha protestato Clark - ha bisogno di un leader, non di uno dei massimi esponenti della cultura della deferenza».

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