Da Corriere della Sera del 29/01/2004

Parla il direttore del quotidiano «Al Mada». Le smentite degli italiani chiamati in causa

Karim, il giornalista che ha ritrovato la lista dei 270 «Così Saddam ricompensava gli amici»

L’ex interprete personale del raìs: «Al regime era permesso vendere greggio in Giordania. I "protetti" all’estero venivano pagati in contanti dalle banche di Amman»

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Per una volta è raggiante Fakhri Karim. «Siamo finalmente la stampa libera del nuovo Iraq. Possiamo denunciare la corruzione della dittatura senza venire impiccati», dice sventolando il voluminoso plico di documenti che da qualche giorno tiene sempre con sé nella ventiquattrore di finta pelle. La lista con 270 nomi di giornalisti, politici, uomini d'affari che sarebbero stati lautamente sovvenzionati da Saddam in cambio del sostegno al regime. «Siamo un giornale piccolo, ma indipendente», dice. Dopo i lunghi anni in esilio, da pochi mesi Karim pubblica il quotidiano Al Mada , poche migliaia di copie pensate e scritte in una villetta nel centro di Bagdad.

Ieri parlargli era quasi impossibile. Il telefono squilla in continuazione, nel corridoio decine di reporter e lui impegnato con i funzionari del ministero del petrolio, la polizia, i commissari americani. Il motivo è quel plico di fogli. «Ecco la prova che Saddam pagava i suoi sostenitori nel mondo. L'abbiamo trovata tra gli archivi semidistrutti dall'ondata di vandalismi e rapine che devastarono Bagdad dopo la guerra».

Come pagava Saddam? Con la moneta più facile da reperire in Iraq: il petrolio. Un metodo noto. A partire dal 1996, quando entra in vigore la risoluzione Onu nota come «oil for food», petrolio in cambio di cibo, l'Iraq è in grado di ovviare alle difficoltà dettate dall'embargo con la vendita di petrolio controllata dalle Nazioni Unite. Ed è allora che il regime decide di ricompensare i suoi alleati all'estero. Il sistema era semplice. Saadoon al-Zubaydi, ex ambasciatore e soprattutto ex interprete personale di Saddam, lo spiega con chiarezza al Corriere : «Al regime era permesso di vendere petrolio direttamente alla Giordania. Così non era difficile assegnare barili di greggio ai numerosi protetti all'estero, i quali venivano pagati in contanti dalle banche di Amman. So per esempio che venne seguito questo metodo per sovvenzionare il leader della destra austriaca Haider».

Il giornale non manca di ironia: «Diversi personaggi citati avevano molto a che vedere con il petrolio. Per esempio la Chiesa ortodossa e il Partito comunista russi, oppure i figli del presidente egiziano Mubarak e del ministro della Difesa siriano, Mustafà Tlas». I nomi sono catalogati in modo ordinato, raggruppati per Paese. Al capitolo riferito all'Italia se ne contano 9, tra cui 5 compagnie (West Petrol, Etrolic, Italtec, Abs, Italian Oil). E Karim ci mostra direttamente il documento originale in arabo: numero di riferimento 2/104, timbro del ministero numero 21214. L'intestazione è quella del ministro del petrolio, con la firma di due dei vice direttori in carica alla data del 19 dicembre 2001, Alì Rajab Hassan e Saddam Ziban Hassan. Primo nome è quello del presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Nel periodo compreso tra la quarta e la tredicesima fase della «oil for food» gli sarebbero stati assegnati 24,5 milioni di barili. Formigoni ha già smentito attraverso il suo portavoce: «Ridicolo, mai preso una lira dall'Iraq». Ieri al Pirellone l’opposizione ha presentato alcune interrogazioni a riguardo (è circolata pure la proposta-burla di pagare lo stipendio dei consiglieri in greggio). Seguono i nomi del broker Salvatore Nicotra, che secondo Il Sole 24 Ore ha ammesso di aver ricevuto assegnazioni per circa 15 milioni di barili, e di Gian Guido Folloni (6,5 milioni): l’ex senatore Cdu ieri ha precisato che «né l’Associazione Italia-Iraq, né io come suo presidente, abbiamo mai ricevuto soldi dal governo iracheno». Piuttosto, spiega Folloni, «soci dell’associazione, che noi segnalammo nell’ambito del programma oil for food, hanno operato come fornitori» dell’ex governo, e «qualcuno di questi soggetti è andato a commerciare petrolio come previsto dalle procedure Onu». Nell’elenco c’è anche padre Benjamin, un sacerdote di origine francese oggi residente in Italia. A lui sarebbero stati dati 4,5 milioni di barili. «Padre Benjamin fu di grande aiuto per il regime - ci ha confidato l'ex direttore generale del ministero dell'Informazione della dittatura, Uday Altai -. Ci aiutò tra l'altro a distinguere tra chi dei giornalisti italiani poteva essere gradito al regime e chi andava espulso».

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