Da Corriere della Sera del 27/01/2004

Il generale sfida il tenente

di Gianni Riotta

NASHUA (New Hampshire) - «Nessuno scrive al colonnello» lamenta il più malinconico romanzo di Gabriel Garcia Marquez, ma il New Hampshire, lo Stato che tiene oggi le sue elezioni primarie per la Casa Bianca, si chiede invece in quanti voteranno per il Generale e in quanti per il Tenente. Il Generale sfoggia le quattro stelle del suo grado su ogni poster, indossa un impermeabile nero da travet, e parla davanti al Municipio di Nashua, due parole di fila: «Son contento di essere tra voi», la voce roca e poi deve rifugiarsi in un caffé dietro l'angolo, il freddo è brutale sotto il cielo turchino.

Davanti a un caffè bollente e due uova al tegamino l'ex generale Wesley Clark, comandante delle forze Nato in Europa e stratega della vittoria in Kosovo contro Slobodan Milosevic, riconosce un paio di giornalisti italiani, li abbraccia rinfrancato e li addita alle telecamere: «Ecco amici, spiegate come sono popolare in Europa. Dite come ha funzionato la coalizione Usa-Europa e perché europei e americani possono andare ancora d'accordo». Sorrisi, pacche sulla schiena, Clark torna in strada. Ieri generale, oggi candidato democratico, domani presidente? Sulla sua strada c'è il Tenente, John Kerry. Clark e Kerry erano in Vietnam nello stesso periodo, feriti, eroi, tornati a casa con un pugno di medaglie. Kerry a contestare la Casa Bianca di Nixon e Kissinger, Clark a far carriera all'accademia militare di West Point. Difficile allora prevederlo, ma l'irsuto ragazzone del Massachusetts che urlava slogan dietro la cancellata della Casa Bianca e l'azzimato cadetto dell'Arkansas si ritrovano trent'anni dopo sui prati gelati del New Hampshire a contendersi la nomination democratica contro George W. Bush. Clark ha provato a far valere il rango: «Sì, Kerry è stato un tenente in Vietnam, ma io sono stato un generale, è toccato a me ordinare ai ragazzi di andare a morire».

Messaggio subliminale agli elettori: se davvero pensate che soltanto un candidato con esperienza di combattimento può dare filo da torcere a Bush, perché accontentarvi di un tenentino, votate un generale a quattro stelle.

Kerry non ha gradito. Stretto in una delle sue camicie western, sulle spalle ampie una giacca Eddy Bauer beige da ranchero , lascia il suo quartiere generale a Manchester, mattoni rossi e pavimento di tronchi di pino lucidati, per andare a confidarsi con il vecchio giornalista nero Bradley: «Non avevo mai sentito un generale irridere i tenenti, di solito sono i primi a restare sul campo».

Clark e Kerry, il Generale e il Tenente. I democratici sanno che l'economia a singhiozzo e l'incertezza su tasse e mutua creano favorevoli condizioni per tornare alla Casa Bianca. Sulla difesa e la politica internazionale, invece, i repubblicani sembrano assai meglio attrezzati davanti all'opinione pubblica. Dalla fine della guerra in Vietnam sono il partito della forza militare, mentre i democratici si lasciano dipingere da imbelli.

Fa impressione vedere al cinema il documentario «Fog of war» la nebbia della guerra, ritratto dell'era del ministro McNamara, quando erano i democratici a essere «superfalchi» in Vietnam. Lo studioso Michael O'Hanlon ammonisce: «I repubblicani faranno di tutto per dipingere i democratici come deboli, per me l'idea che vinca Howard Dean è un incubo, non ci sarebbe partita».

Kerry e Clark sperano di liquidare in New Hampshire la crociata pacifista dei ragazzi dell'ex governatore Howard Dean e di andare poi al Sud, si vota in South Carolina il 3 febbraio, a risolvere il duello, con il senatore del North Carolina John Edwards come solo rivale superstite. I sondaggi danno a Kerry il 35% a Dean il 25, a Clark il 13 e a Edwards il 10, ma un terzo degli elettori si dichiara «incerto» e parecchi repubblicani potrebbero intrufolarsi a sorpresa nelle liste democratiche. Mary, cameriera del caffè che ospita Clark, invece non voterà: «Non mi piace né Bush né i suoi sfidanti» e quando lo staff del generale fa troppo chiasso intima: «Lasciateci lavorare!». È il grido di guerra di Karl Rove, consigliere principe di Bush, candidati democratici, lasciate lavorare il presidente, il vicepresidente Dick Cheney contro il terrorismo e in Iraq. Cheney ha lasciato le basi segrete dove lavora dall'autunno del 2001 per andare in missione in Svizzera e in Italia consapevole del duello tra il Generale e il Tenente: risultare credibili davanti agli elettori come leader autorevoli nella difesa degli interessi nazionali.

La direzione della campagna di Clark è ordinata come una caserma, computer, telefonini, perfino le merende dei volontari raccolte in una boccia di vetro. Sulla porta due anziani pacifisti arrivati da New York «Siamo antimilitaristi da sempre, ma odiamo Bush, è perfino peggiore del vostro Berlusconi. Perché lavoriamo con un ex generale? Ma perché è il solo che può battere Bush». Gli esperti la chiamano in gergo electability , «eleggibilità», inutile nominare un candidato progressista e perbene se poi segue il destino di McGovern 1972, Mondale 1984, Dukakis 1988 e Gore 2000 e perde contro i repubblicani. Il Paese è diviso dal risentimento, ma la rabbia anima i democratici a premiare il candidato più credibile contro Bush a novembre. E Kerry è in vantaggio sulla electability , 56% contro i miseri 16% di Dean, 9 di Clark e 7 di Edwards.

L'ufficio di Kerry fa di tutto per sembrare «presidenziale». Un pompiere corpulento regola l'accesso, ogni volontario deve avere al collo le credenziali (un adesivo rotondo), una ragazza bionda riceve la stampa estera, sul tavolo una rivista patinata annuncia che «i windsurfisti appoggiano il windsurfista Kerry», e una pagina di pubblicità dei surf Fiberspar mostra il senatore piegato in virata con la scritta «Alla Casa Bianca? Forse. Su una tavola Fiberspar? Di certo!». Per cavalcare l'onda fino a novembre Kerry deve battere Clark e dimostrarsi leader serio in politica estera. Dean tenta l'agguato estremo: «Credibile Kerry? Ma se ha votato contro la prima guerra nel Golfo». Clark sorride quando un suo elettore gli porge per l'autografo il suo libro «Waging modern war», combattere le guerre del presente: «Sono io il miglior comandante supremo».

Lo studioso Robert Kagan assicura: nessuno dei democratici, neppure il pacifista Dean, fermerà la guerra al terrorismo o si ritirerà dall'Iraq.

John Kerry annuncia roco: «Dalla Casa Bianca riallaccerò subito migliori rapporti con i nostri alleati e nominerò un ambasciatore speciale per la pace in Medio Oriente». Ecco, né il Tenente né il Generale sono pacifisti, ma il loro spirito sarà certo multilaterale e atlantico. Kerry sta leggendo il libro di Stephen Schlesinger «Act of creation» sull’appassionato sforzo del presidente Franklin D. Roosevelt per far nascere le Nazioni Unite nel 1944. Il consigliere repubblicano Richard Perle avverte invece Bush: o l'Onu si schiera con noi contro il terrorismo o è meglio che gli Stati Uniti lascino l'Onu. Una minaccia estrema, ma che testimonia dell’aria che tirerà in America da qui al voto. Il Tenente in vantaggio e il Generale che insegue nel voto di oggi proveranno a dimostrare che i democratici non sono più imbelli e che sapranno avere contro il terrore il coraggio che Kerry e Clark dimostrarono nella nefasta e lontana guerra «democratica», il Vietnam.

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