Da Corriere della Sera del 22/01/2004

Bush sfida i democratici: «Devo finire il lavoro»

Il presidente scende in campo per la rielezione e rivendica i successi della lotta al terrorismo. «L’America non farà passi indietro»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Sulle ali del suo ottimistico messaggio sullo «stato dell'Unione», un'Unione «fiduciosa e forte» ribadisce, il candidato George Bush vola nell'Ohio, uno dei grandi Stati dal voto fluttuante, lanciandosi a capofitto nella campagna elettorale. Il suo discorso al Congresso non è stato quello conciliante, programmatico, d'inizio d'anno, in cui l'inquilino della Casa Bianca dimostra alla nazione di essere il presidente di tutti gli americani. E' stato un manifesto unilateralista, come nota il New York Times , una sfida ai democratici che aggrava la spaccatura dell'America in due e ostacola il dialogo con gli alleati, e che secondo il sondaggio Gallup , Cnn e Usa Today suscita soltanto l'entusiasmo del 45 per cento del pubblico, un terzo in meno degli scorsi anni. Ma nell'Ohio, Bush non dà segno di considerarlo un errore. Il suo slogan è «mantenere la rotta», impedire ai democratici di far fare «passi indietro» all'America. E' chiaro che il presidente vede nella guerra al terrorismo la sua carta vincente.

L'America ha ancora negli occhi la scena di martedì sera al Congresso. Bush che entra firmando autografi, che bacia la nipotina nera del tribuno Jesse Jackson, tutta trecce, che saluta da lontano con la mano il leader iracheno Adnan Pachachi, assiso tra il pubblico con la first Laura e Lynn Cheney, la moglie del vicepresidente. Appena il presidente apre bocca: «Il Paese è degno del compito affidatogli dalla storia! Non lasceremo il nostro lavoro a metà» - è un'ovazione che si ripeterà decine di volte. Ma un'ovazione a senso unico. Nei '54 minuti del discorso, le telecamere inquadrano i democratici che non si alzano né applaudono, il loro leader storico Ted Kennedy che scuote il capo, la senatrice ed ex first lady Hillary Clinton che stringe i denti. Non si sono mai viste reazioni del genere a un messaggio sullo stato dell'Unione.

Nella prima mezz'ora, il discorso è un pugnace rapporto del presidente sulla guerra in Iraq. Non contiene la minima concessione agli alleati più critici e all'Onu, riafferma la validità dell'unilateralismo americano e della dottrina della guerra preventiva. Aggiunge che la guerra al terrorismo continua, che chiederà il rinnovo del «Patriot act» le leggi speciali, e mette in evidenza i suoi successi, la cattura di Saddam Hussein, l'appoggio di una trentina di Paesi tra cui l'Italia. E avverte l'Onu e gli alleati che «l'America non chiederà mai permessi scritti per la propria sicurezza». Rivendica il merito di avere costretto la Libia al disarmo, ma non menziona l'asse del male, Bin Laden, Israele.

La seconda mezz'ora è un rapporto ottimistico sull’economia Usa, al suo meglio da vent'anni a questa parte, a giudizio di Bush. Il presidente propone una serie di bis: altre riduzioni delle tasse; una crescente privatizzazione dell'assistenza sanitaria; una parziale delle pensioni, con investimenti in borsa, il progetto più controverso. Critica anche il matrimonio gay, minacciando di vietarlo tramite un emendamento costituzionale.

Il senatore John Kerry, vincitore nello Iowa, ricorda che Bush promise di creare 250 mila posti di lavoro a novembre ma ne creò 1.000. Howard Dean, lo sconfitto, denuncia «il favoritismo dei ricchi e delle corporation». Il senatore John Edwards lamenta che «delle due Americhe, quella povera rimane indietro». E tocca al generale Wesley Clark, il Cesare del Kosovo, martellare sulle «falsità» addotte dal presidente per la guerra dell'Iraq.

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