Da La Stampa del 19/01/2004
Osservatorio
Dieci anni dopo non c'è Forza Italia senza Forza Europa
di Aldo Rizzo
Dieci anni fa, la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia, e dunque, in attesa della celebrazione ufficiale di sabato prossimo, è già tempo di bilanci e di riflessioni. Qui si parla di politica estera. Qual è stato il ruolo, in questo campo cruciale, del movimento berlusconiano? Il comunicato che annuncia la «kermesse azzurra» di sabato anticipa il giudizio: è stato un ruolo «decisivo nel rendere finalmente l'Italia protagonista in Europa e nel mondo». Enfasi comprensibile, in una circostanza come questa, che va tuttavia verificata da un'analisi fattuale, che descriva, per quanto è possibile, le luci e le ombre.
Il ricambio di un ceto politico storicamente stanco, dopo decenni di democrazia bloccata o consociativa, e per di più investito da un ciclone giudiziario che minacciava di aprire un vuoto negli schieramenti parlamentari, ebbe potenziali effetti positivi anche nella politica estera. Un governo, quale quello che Berlusconi riuscì a formare con un blitz elettorale di settimane più che di mesi, inaugurava l'età dell'alternanza, offriva la possibilità di politiche chiare e competitive anche in campo internazionale. Nel quale, tuttavia, come in tutte le democrazie nelle quali l'alternanza era già regola, i fattori di continuità andavano preservati, e comunque trattati con molta cautela, per non incrinare la fiducia del mondo esterno e in particolare, nel nostro caso, degli alleati europei. In altre parole, si poteva innovare, ma «con juicio».
In quella sua prima, breve esperienza, il governo Berlusconi confermò la fondamentale scelta atlantica (la Nato, l'America) e anche quella europea. Ma, quest'ultima, solo in termini generici, perché subito emerse una visione diversa dell'integrazione e dell'Ue, soprattutto sul tema della moneta unica, ancora in gestazione, un tema che metteva in discussione anche la storica vicinanza, se non vera e propria alleanza, con Francia e Germania. Su questo tema si aprì un evidente contrasto tra il ministro degli Esteri, Antonio Martino, cofondatore di Forza Italia, e il «tecnico» Lamberto Dini, ministro del Tesoro, come si vide clamorosamente al Consiglio europeo di Corfù. Come risultato, in quel vertice, fu bloccata dall'Italia la designazione del belga Deahene alla presidenza della Commissione, in quanto sostenuto da Francia e Germania, per poi arrivare al modesto e fallimentare compromesso sul lussemburghese Santer.
Poi vennero gli anni dell'opposizione, la «traversata del deserto», per dirla alla De Gaulle, anni nei quali Berlusconi pazientemente e tenacemente ricucì la tela della sua coalizione, e nei quali non fece mancare i voti del centrodestra ai governi di centrosinistra, quando questi ultimi, in politica estera, ebbero una carenza di appoggio sull'ala estrema. Ma sempre quando erano in discussione il rapporto con la Nato e l'America, oltre che il principio di una maggiore presenza «nazionale», mentre restava ambiguo il «sentimento» europeo.
Quindi il governo «vero», quello in carica dal 2001 e destinato a durare, salvo incidenti, fino al 2006. Dalla storia all'attualità. Memore dell'esperienza del 1994, e accogliendo molti autorevoli suggerimenti, Berlusconi nomina un grande diplomatico e un grande europeista, Renato Ruggiero, agli Esteri, come garanzia di continuità e di credibilità internazionale. Ma il «matrimonio d'interesse» dura pochissimo, ed è lui stesso a prendere in proprio il comando della Farnesina. Seguono momenti spettacolari, gli abbracci con Bush e con Putin, l'accordo certamente importante tra Nato e Russia, ma continua a mancare il «feeling» con le forze centrali dell'integrazione europea. Il Cavaliere sceglie come alleati due europeisti tiepidi come lo spagnolo Aznar e il britannico Blair, colonne del controverso e drammatico decisionismo di Bush in Iraq. Dai quali si ritrova spiazzato (nonostante la diligenza del neoministro Frattini) nell'occasione maggiore, quel «semestre» italiano che doveva portare alla Costituzione europea, con Aznar irriducibile sulle pretese spagnole e un Blair ambiguo. Che poi accetta - è la novità più importante - un patto a tre proprio con Francia e Germania, per una guida pragmatica, oltre le differenze «strategiche», di un'Europa confusa. Dieci anni fa, Forza Italia. Ma non c'è Forza Italia senza Forza Europa.
Il ricambio di un ceto politico storicamente stanco, dopo decenni di democrazia bloccata o consociativa, e per di più investito da un ciclone giudiziario che minacciava di aprire un vuoto negli schieramenti parlamentari, ebbe potenziali effetti positivi anche nella politica estera. Un governo, quale quello che Berlusconi riuscì a formare con un blitz elettorale di settimane più che di mesi, inaugurava l'età dell'alternanza, offriva la possibilità di politiche chiare e competitive anche in campo internazionale. Nel quale, tuttavia, come in tutte le democrazie nelle quali l'alternanza era già regola, i fattori di continuità andavano preservati, e comunque trattati con molta cautela, per non incrinare la fiducia del mondo esterno e in particolare, nel nostro caso, degli alleati europei. In altre parole, si poteva innovare, ma «con juicio».
In quella sua prima, breve esperienza, il governo Berlusconi confermò la fondamentale scelta atlantica (la Nato, l'America) e anche quella europea. Ma, quest'ultima, solo in termini generici, perché subito emerse una visione diversa dell'integrazione e dell'Ue, soprattutto sul tema della moneta unica, ancora in gestazione, un tema che metteva in discussione anche la storica vicinanza, se non vera e propria alleanza, con Francia e Germania. Su questo tema si aprì un evidente contrasto tra il ministro degli Esteri, Antonio Martino, cofondatore di Forza Italia, e il «tecnico» Lamberto Dini, ministro del Tesoro, come si vide clamorosamente al Consiglio europeo di Corfù. Come risultato, in quel vertice, fu bloccata dall'Italia la designazione del belga Deahene alla presidenza della Commissione, in quanto sostenuto da Francia e Germania, per poi arrivare al modesto e fallimentare compromesso sul lussemburghese Santer.
Poi vennero gli anni dell'opposizione, la «traversata del deserto», per dirla alla De Gaulle, anni nei quali Berlusconi pazientemente e tenacemente ricucì la tela della sua coalizione, e nei quali non fece mancare i voti del centrodestra ai governi di centrosinistra, quando questi ultimi, in politica estera, ebbero una carenza di appoggio sull'ala estrema. Ma sempre quando erano in discussione il rapporto con la Nato e l'America, oltre che il principio di una maggiore presenza «nazionale», mentre restava ambiguo il «sentimento» europeo.
Quindi il governo «vero», quello in carica dal 2001 e destinato a durare, salvo incidenti, fino al 2006. Dalla storia all'attualità. Memore dell'esperienza del 1994, e accogliendo molti autorevoli suggerimenti, Berlusconi nomina un grande diplomatico e un grande europeista, Renato Ruggiero, agli Esteri, come garanzia di continuità e di credibilità internazionale. Ma il «matrimonio d'interesse» dura pochissimo, ed è lui stesso a prendere in proprio il comando della Farnesina. Seguono momenti spettacolari, gli abbracci con Bush e con Putin, l'accordo certamente importante tra Nato e Russia, ma continua a mancare il «feeling» con le forze centrali dell'integrazione europea. Il Cavaliere sceglie come alleati due europeisti tiepidi come lo spagnolo Aznar e il britannico Blair, colonne del controverso e drammatico decisionismo di Bush in Iraq. Dai quali si ritrova spiazzato (nonostante la diligenza del neoministro Frattini) nell'occasione maggiore, quel «semestre» italiano che doveva portare alla Costituzione europea, con Aznar irriducibile sulle pretese spagnole e un Blair ambiguo. Che poi accetta - è la novità più importante - un patto a tre proprio con Francia e Germania, per una guida pragmatica, oltre le differenze «strategiche», di un'Europa confusa. Dieci anni fa, Forza Italia. Ma non c'è Forza Italia senza Forza Europa.