Da Corriere della Sera del 05/01/2004
Spirit è arrivato: un «bip» ed esplode la gioia
Ore 5.35: la Discesa
di Giovanni Caprara
PASADENA (California) - Spirit è atterrato. Il robot-geologo della Nasa è sceso vincitore nel grande Gusev Crater sull’equatore marziano, superando la difficile corsa a ostacoli imposta dal pianeta ai suoi visitatori.
E ha sconfitto la paura della maledizione che sembra alleggiare tra le sabbie rosse portando al disastro molte spedizioni, una paura emergente dalle parole degli stessi scienziati chiusi e silenziosi davanti ai computer del centro di controllo di Pasadena. Fino alle 20.51, quando la gigantesca parabola californiana di Goldstone raccoglieva un «segnale forte» da Spirit. E’ parsa quasi una magia. I volti preoccupati si accendevano, i composti specialisti gridavano di gioia alzando le braccia al cielo come i goleador, inscenando quasi una danza di ringraziamento. Il doppio, ultimo fallimento del 1999 era cancellato: la strada giusta per Marte ritrovata. «E’ una gran notte per la Nasa e per la storia dell’esplorazione cosmica», commentava il suo amministratore Sean O’Keefe stappando una bottiglia di bottiglia di Champagne, annata ’82.
Tutto stava andando così bene da far sembrare l’impresa paradossalmente persino facile. Una perfezione che ha segnato l’intera spedizione iniziata con il lancio da Cape Canaveral il 10 giugno scorso.
Dopo un viaggio di 487 milioni di chilometri, mentre il pianeta rosso si trova a 170 milioni di chilometri dalla Terra, Spirit si è tuffato nell’esile atmosfera con un’esattezza tanto elevata da far cancellare le ultime manovre di aggiustamento. Preoccupavano un po’ le tempeste di sabbia scoppiate nelle ultime settimane in varie zone marziane. L’atmosfera si era per questo riscaldata e un po’ gonfiata. Bisognava tenerne conto. Così Richard Cook, l’ormai mitico «pilota delle traiettorie» di tante spedizioni interplanetarie, ha ordinato ai computer di Spirit di anticipare un paio di secondi l’apertura del paracadute per controllare meglio la discesa.
Decisione azzeccata. Poi il robot- geologo ha fatto tutto da solo. Si è orientato verso l’obiettivo con una giusta angolazione, si è staccato dal modulo prezioso nella lunga traversata, lo scudo protettivo è diventato incandescente rallentando la corsa.
Bisognava passare dai cinque chilometri al secondo a zero. Il silenzio era diventato opprimente a Pasadena e con voce senza tono il direttore di volo scandiva i secondi e ciò che la sonda stava compiendo: distacco scudo termico, apertura paracadute, distacco paracadute, gonfiamento airbag, accensione razzi di neutralizzazione del vento. Spirit, racchiuso nel suo guscio protettivo, rimbalza al suolo una decina di minuti. Sono le 20.35 della California (le 5.35 qui in Italia).
Si ferma nella giusta posizione, i palloni si sgonfiano, la corsa a ostacoli è finita. Spirit inviava in continuazione un suono e la sua modulazione diceva ciò che accadeva. Infine la conferma: il robot era atterrato nel centro del bersaglio, un’ellisse larga appena tre chilometri.
«Abbiamo affrontato molti rischi, ma li abbiamo superati brillantemente» commentava soddisfatto Pete Theisenger, il direttore della spedizione.
«Sono stati mobilitati i migliori cervelli della nazione come non accadeva dall’epoca dello sbarco sulla Luna - raccontava sorridendo Charles Elachi, direttore del Jet Propulsion Laboratory dove si materializzano i sogni dei viaggi interplanetari - I migliori specialisti, dei centri Nasa, delle Università e delle industrie sono i protagonisti del successo di questa notte. Nulla abbiamo lasciato al caso».
E intanto Spirit da solo nel suo primo giorno marziano proseguiva il suo lavoro. Non si sapeva ancora quale fosse il panorama che lo aveva accolto. Doveva accendere i numerosi sistemi, aprire i pannelli solari per avere energia, spalancare alcuni obiettivi: finalmente la prima fotografia in bianco e nero scattata dalla telecamera da usare per la navigazione. E subito altre cartoline con i particolari del luogo.
Così abbiamo visto il vuoto intorno a Spirit, una pianura sconfinata, lineare, mossa solo da qualche sasso, con le lontanissime increspature dei bordi del cratere. E vicino un cratere più piccolo, interessante da esplorare.
Ora Spirit è nelle mani di Jennifer Trosper, una giovane signora dagli occhi azzurri con un filo di perle bianche, che parla del robot come di un figlio. «Dobbiamo procedere con attenzione - racconta - prima di muoverlo dalla sua culla. Dovremo aprire con cura le sue gambe per mettere in posizione le ruote, controllare il funzionamento degli strumenti e solo quando saremo sicuri che tutto è in ordine gli diremo di muoversi, di scendere sulla sabbia».
E sarà Jennifer, responsabile delle operazioni al suolo, a decidere poi dove mandarlo, come agire, che cosa raccontarci. Finita un’avventura, ora ne inizia un’altra. E intanto Opportunity, il «fratello» di Spirit si avvicina rapido a Marte per tenergli compagnia dal prossimo 24 gennaio.
E ha sconfitto la paura della maledizione che sembra alleggiare tra le sabbie rosse portando al disastro molte spedizioni, una paura emergente dalle parole degli stessi scienziati chiusi e silenziosi davanti ai computer del centro di controllo di Pasadena. Fino alle 20.51, quando la gigantesca parabola californiana di Goldstone raccoglieva un «segnale forte» da Spirit. E’ parsa quasi una magia. I volti preoccupati si accendevano, i composti specialisti gridavano di gioia alzando le braccia al cielo come i goleador, inscenando quasi una danza di ringraziamento. Il doppio, ultimo fallimento del 1999 era cancellato: la strada giusta per Marte ritrovata. «E’ una gran notte per la Nasa e per la storia dell’esplorazione cosmica», commentava il suo amministratore Sean O’Keefe stappando una bottiglia di bottiglia di Champagne, annata ’82.
Tutto stava andando così bene da far sembrare l’impresa paradossalmente persino facile. Una perfezione che ha segnato l’intera spedizione iniziata con il lancio da Cape Canaveral il 10 giugno scorso.
Dopo un viaggio di 487 milioni di chilometri, mentre il pianeta rosso si trova a 170 milioni di chilometri dalla Terra, Spirit si è tuffato nell’esile atmosfera con un’esattezza tanto elevata da far cancellare le ultime manovre di aggiustamento. Preoccupavano un po’ le tempeste di sabbia scoppiate nelle ultime settimane in varie zone marziane. L’atmosfera si era per questo riscaldata e un po’ gonfiata. Bisognava tenerne conto. Così Richard Cook, l’ormai mitico «pilota delle traiettorie» di tante spedizioni interplanetarie, ha ordinato ai computer di Spirit di anticipare un paio di secondi l’apertura del paracadute per controllare meglio la discesa.
Decisione azzeccata. Poi il robot- geologo ha fatto tutto da solo. Si è orientato verso l’obiettivo con una giusta angolazione, si è staccato dal modulo prezioso nella lunga traversata, lo scudo protettivo è diventato incandescente rallentando la corsa.
Bisognava passare dai cinque chilometri al secondo a zero. Il silenzio era diventato opprimente a Pasadena e con voce senza tono il direttore di volo scandiva i secondi e ciò che la sonda stava compiendo: distacco scudo termico, apertura paracadute, distacco paracadute, gonfiamento airbag, accensione razzi di neutralizzazione del vento. Spirit, racchiuso nel suo guscio protettivo, rimbalza al suolo una decina di minuti. Sono le 20.35 della California (le 5.35 qui in Italia).
Si ferma nella giusta posizione, i palloni si sgonfiano, la corsa a ostacoli è finita. Spirit inviava in continuazione un suono e la sua modulazione diceva ciò che accadeva. Infine la conferma: il robot era atterrato nel centro del bersaglio, un’ellisse larga appena tre chilometri.
«Abbiamo affrontato molti rischi, ma li abbiamo superati brillantemente» commentava soddisfatto Pete Theisenger, il direttore della spedizione.
«Sono stati mobilitati i migliori cervelli della nazione come non accadeva dall’epoca dello sbarco sulla Luna - raccontava sorridendo Charles Elachi, direttore del Jet Propulsion Laboratory dove si materializzano i sogni dei viaggi interplanetari - I migliori specialisti, dei centri Nasa, delle Università e delle industrie sono i protagonisti del successo di questa notte. Nulla abbiamo lasciato al caso».
E intanto Spirit da solo nel suo primo giorno marziano proseguiva il suo lavoro. Non si sapeva ancora quale fosse il panorama che lo aveva accolto. Doveva accendere i numerosi sistemi, aprire i pannelli solari per avere energia, spalancare alcuni obiettivi: finalmente la prima fotografia in bianco e nero scattata dalla telecamera da usare per la navigazione. E subito altre cartoline con i particolari del luogo.
Così abbiamo visto il vuoto intorno a Spirit, una pianura sconfinata, lineare, mossa solo da qualche sasso, con le lontanissime increspature dei bordi del cratere. E vicino un cratere più piccolo, interessante da esplorare.
Ora Spirit è nelle mani di Jennifer Trosper, una giovane signora dagli occhi azzurri con un filo di perle bianche, che parla del robot come di un figlio. «Dobbiamo procedere con attenzione - racconta - prima di muoverlo dalla sua culla. Dovremo aprire con cura le sue gambe per mettere in posizione le ruote, controllare il funzionamento degli strumenti e solo quando saremo sicuri che tutto è in ordine gli diremo di muoversi, di scendere sulla sabbia».
E sarà Jennifer, responsabile delle operazioni al suolo, a decidere poi dove mandarlo, come agire, che cosa raccontarci. Finita un’avventura, ora ne inizia un’altra. E intanto Opportunity, il «fratello» di Spirit si avvicina rapido a Marte per tenergli compagnia dal prossimo 24 gennaio.
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