Da Corriere della Sera del 04/12/2003

Le imprese americane

Balzo record del 9,4% per la produttività Usa

Negli Stati Uniti persi 2,5 milioni di posti dal 2001. E gli esperti rifanno i conti sulla disoccupazione

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Nel terzo trimestre, l'economia americana ha fatto il botto, umiliando quella europea. Dopo il dato del Pil, lo conferma il dato sulla produttività. Tra luglio e settembre, la produttività negli Usa è salita del 9,4%, ben più dell'8,1% annunciato in via provvisoria a novembre.

E' il massimo da vent'anni a questa parte, un tasso di crescita che fa impallidire quello del 7% del secondo trimestre e che fa venire i brividi all'Ue. Il valore del dato è sottolineato da quello della produzione: è aumentata del 10,3%, sebbene le ore di lavoro siano aumentate solo dello 0,8. Un altro miracolo economico della superpotenza dopo la breve recessione del 2001.

La buona novella rilancia le Borse in Europa, portandole ai massimi dell'anno: a Milano il Mibtel guadagna lo 0,52%, a Londra l'indice Ftse lo 0,30%, a Parigi il Cac lo 0,87%, a Zurigo lo Smi l'1,16% e a Francoforte il Dax l'1,74%. A New York il boom della produttività ha un effetto più contenuto, pur spingendo nell’arco della giornata sia l'indice Nasdaq dei titoli tecnologici sia quello Dow Jones dei titoli industriali. Il Nasdaq ha oscillato sopra e sotto i 2.000 punti, cosa che non avveniva dal 15 gennaio dell'anno scorso, per poi chiudere in calo dell’1%; e il Dow Jones tenta invano di raggiungere la magica quota dei 10.000 punti. In parte, spiega il finanziere Henry Kaufman, il dato era atteso. In parte Wall Street si rende conto che difficilmente il miracolo si ripeterà.

Secondo Kaufman, «la corda della produttività non potrà essere tirata oltre e le aziende dovranno ricominciare ad assumere, perché sono stati fatti molti dei possibili tagli dei costi e si è attuata gran parte della automazione e computerizzazione del processo produttivo». Senza dirlo espressamente, l'amministrazione Bush fa capire di essere d'accordo. Dal 2001, sono stati perduti 2 milioni e mezzo di posti di lavoro, nota un portavoce, ma nel terzo trimestre di quest'anno ne sono stati creati 286 mila, e nel quarto se ne creeranno di più. Per Kaufman, e implicitamente per il Tesoro americano, il ciclo di rinnovamento tecnologico, la nuova economia, starebbe per concludersi e l'ascesa della produttività diverrebbe più modesta.

E' comunque una lezione per l'Europa e ne prendono atto anche i critici dell'amministrazione. Secondo questi ultimi però i dati ufficiali sulla produttività e la disoccupazione sono troppo ottimistici. Stephen Roach, economista di Morgan Stanley, rileva che il settore dei servizi assorbe l'80% delle maestranze Usa e che è arduo misurarne la produttività. «Prendiamo i servizi più importanti, quelli finanziari», scrive sul New York Times . «La loro settimana lavorativa è calcolata di 35 ore e mezzo, come nell'88. Ma è falso: oggi la gente sta in ufficio molto più a lungo di allora, e si porta il computer a casa, in viaggio, e in vacanza per lavorare nel cosiddetto tempo libero». Austan Goldsbee, della prestigiosa Business School della Università di Chicago, smentisce che la disoccupazione sia solo del 6%.

«Nell'ultimo triennio» afferma «oltre un milione di persone che potrebbero lavorare - 200 mila lo scorso ottobre - s'è iscritta all’invalidità abbandonando la forza lavoro. Altri hanno smesso di presentare domanda di impiego agli uffici di collocamento. La disoccupazione è probabilmente dell'8%».

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