Da La Stampa del 11/10/2003

Senza stranieri più cani che bambini

di Mario Deaglio

La proposta di attribuire agli immigrati il diritto di voto nelle elezioni amministrative porta in primo piano cifre non rassicuranti sul nostro futuro che abbiamo frequentemente preferito non vedere. Per questo, pur se può essere dettata soprattutto da opportunità politica, tale proposta non si esaurisce nel piccolo cabotaggio delle schermaglie tra i partiti.

Una parte importante del nostro futuro economico-sociale è, infatti, già scritta negli scomodi dati della suddivisione per età della nostra popolazione: in assenza di immigrazione, con gli attuali, bassissimi tassi di natalità e fertilità, che costituiscono quasi un record mondiale, la popolazione italiana è destinata a subire un calo vistoso che la porterà, attorno alla metà del secolo, al di sotto dei 50 milioni di abitanti, all’incirca ai livelli di cent’anni prima. Con la differenza che, nel giro di cent'anni, il rapporto tra il numero dei giovani e il numero degli anziani risulterà press'a poco ribaltato.

Non ci si deve illudere, come sicuramente molti fanno, magari a livello subconscio, che così «staremo meglio» perché oggi «siamo in troppi». In realtà, mentre la popolazione, nel suo complesso, diminuirà, il numero degli anziani continuerà ad aumentare. Nelle ordinate e benestanti villette che costellano paesi e periferie cittadine, già oggi ci sono più cani che bambini.

La riduzione quantitativa si accompagna così a una variazione qualitativa difficile da sostenere. La situazione demografica attuale risulterebbe sensibilmente peggiore senza la presenza degli immigrati: già oggi un buon numero di maestri d'asilo, insegnanti elementari, pediatri e altri lavoratori che forniscono i propri servizi ai giovani devono il posto di lavoro ai figli degli immigrati e questa dipendenza è destinata ad accentuarsi fortemente.

Non si tratta quindi semplicemente «di far entrare gli stranieri perché i loro contributi sociali paghino le nostre pensioni» come spesso si sostiene: senza la presenza di un’immigrazione consistente, più ancora delle pensioni sono a rischio, in numero crescente, moltissimi posti di lavoro esistenti. Occorre quindi concentrarsi su una politica di immigrazione che non dia luogo a una presenza precaria e spesso clandestina ma trasformi, sia pure gradualmente, gli immigrati in cittadini.

Solo i cittadini, infatti, possono esprimere la domanda per un certo tipo di servizi qualificanti, solo dai cittadini può derivare una forza lavoro con sufficiente livello di istruzione. L’Italia oggi spreca le potenzialità dei molti ragazzini figli di immigrati che si offrono di pulire i vetri delle auto senza che nessuno si chieda seriamente perché non si fa rispettare il loro obbligo di andare a scuola. Non possiamo più permettercelo: ma per dare delle regole a questi ragazzini e alle loro famiglie occorre dare anche dei diritti. E proprio su queste regole e su questi diritti, sia pure da attribuire gradualmente e a ragion veduta, è bene che si apra un dibattito che deve andare ben al di là degli angusti confini della politica del giorno per giorno.

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