Da La Repubblica del 21/11/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/esteri/sinagistan/miri/miri.html

Parla William Pope, numero due dell'antiterrorismo Usa: "Ma siamo sulle tracce di Bin Laden"

"Si apre una stagione di terrore anche l'Italia è sotto tiro"

di Carlo Bonini

WASHINGTON - Negli uffici sotterranei della divisione antiterrorismo del Dipartimento di Stato, il mattino di sangue di Istanbul rimbalza sullo schermo di una tv. È un appunto cerchiato a grandi lettere in corsivo su un block notes, "Fronte orientale dei combattenti del Grande Islam", la sigla che ha rivendicato la strage delle sinagoghe. È un uomo dai modi diretti, William Pope, che dell'Antiterrorismo è il numero due. E che ora dice a Repubblica: "Quel che è accaduto è un'altra prova che questa Guerra non ha confini. Che la Turchia è un bersaglio esattamente come lo è l'Italia. E ogni Paese che abbia deciso di prendere parte alla coalizione che combatte questa guerra".

Nel sillogismo di Pope è una verità che forse può suonare tanto lapalissiana nel merito, quanto inquietante nella sua genericità. Ma che, al contrario, illumina una convinzione dell'intelligence americana che, oggi, poggia su una qualche solida base informativa. In grado di offrire una prospettiva su quel che è accaduto ieri. Su quel che accadrà domani. Di diradare, almeno in parte, la nebbia che avvolge questa nuova stagione di sangue.

"È ancora presto ? confida una fonte del Dipartimento che chiede l'anonimato - per indicare responsabilità specifiche nella strage di stamani (ieri ndr). Ci stiamo lavorando soltanto da qualche ora e non ci erano arrivati segnali di vigilia né specifici, né generici. Ma, per certo, una cosa la si può dire. Questi assassini, oggi, colpiscono contemporaneamente un Paese musulmano ma secolarizzato e un obiettivo inglese. Questo significa che la loro intenzione poteva essere quella di raggiungere entrambi i bersagli o, più semplicemente, il solo bersaglio inglese. Vuoi per la contemporaneità della visita del presidente Bush a Londra. Vuoi perché, banalmente, oggi il consolato inglese di Istanbul era un obiettivo più semplice da aggredire. Bene, se partiamo da qui, forse impiegheremo del tempo a dare dei nomi a questi assassini, ma certo possiamo immaginare con quale strategia si stanno muovendo. E, forse, dove colpiranno domani".

William Pope la mette così: "Provate a guardare ad Istanbul in una prospettiva più ampia. Mettendola insieme alle stragi degli ultimi mesi che hanno segnato l'Asia, l'Arabia Saudita, il Marocco. Quel che si vede con estrema chiarezza è una stagione di terrore che si muove decentrando e moltiplicando la minaccia. Orizzontalmente. Al Qaeda non sta operando in solitudine e secondo un criterio verticale di ordini trasmessi dal vertice alla base. Ma con l'appoggio estemporaneo di sigle locali, che sono poi quelle che portano a termine gli attentati". È una buona notizia ? conviene Pope ? lì dove dimostra lo stato di salute precario della leadership di Osama Bin Laden e "gli esiti dello smantellamento, in questi due anni, di due generazioni della sua luogotenenza". Ma diventa una pessima notizia perché nella debolezza della leadership di Al Qaeda guadagna terreno questa commistione assassina tra le istanze radicali locali e una generica fratellanza di violenza in nome della guerra al Satana occidentale.

Al Dipartimento definiscono quel che sta accadendo "Jhiadismo". E provano anche a darne i numeri. Alle trentasei sigle ufficiali censite negli ultimi due anni dall'Antiterrorimo, ne vanno aggiunte ora due buone nuove dozzine, che si sono appena affacciate sulla scena della violenza. "Gruppi ridotti nei numeri ? chiosa con Repubblica una fonte dell'intelligence ? pressocché impossibili da infiltrare e con tempi di preavviso operativi ridottissimi, dunque spesso impossibili da prevenire. Di più: con legami organizzativi con Al Qaeda difficili da valutare.

Osservate il caso della strage della sinagoga. Prima la bomba, poi una rivendicazione del Fronte orientale dei combattenti del Grande Islam. Poi una rivendicazione di Al Qaeda. Quindi, una rivendicazione congiunta. Che significa? Che questa gente può fare strage di innocenti, salvo poi chiedere a cose fatte che Al Qaeda metta una firma in grado di legittimare sia chi la bomba l'ha messa davvero, sia Al Qaeda. Confondendo contemporaneamente l'indagine".

Che i fatti di Istanbul siano dunque epifania e conferma di un contagio violento che sta per investire l'intero bacino del Mediterraneo e con lei paesi come l'Italia, la Spagna e la Grecia è ipotesi al centro del lavoro dell'intelligence americana. Anche se ? si insiste ? è "materia da maneggiare con intelligenza". Al Dipartimento di Stato l'analisi di Pisanu e degli organismi dell'Antiterrorismo italiana viene apprezzata in queste ore per il tono pacato con cui viene offerta, per il merito che racconta. "È vero - spiega un funzionario che da vicino osserva il cortile di casa nostra - il vostro ministro dell'interno ha ragione quando dice che, rispetto a sei mesi fa, il vostro livello di rischio "domestico" non è salito. Che l'Italia, dunque, continua ad essere sostanzialmente una retrovia del Terrore, anche per le difficoltà che hanno i terroristi a bucare le maglie della prevenzione. Ma questo non vuol dire che è meno plausibile che le venga inferto un colpo".

E non c'entra Nassiriya. Di questo William Pope ne è convinto. "Per l'Italia, ma non solo per l'Italia, non va commesso l'errore di ritenere quel che sta accadendo in Iraq un aspetto della strategia complessiva di Al Qaeda. Perché non è così. Le informazioni che abbiamo ci dicono che la strage di Nassyria è farina del sacco degli uomini del Baath. Certo, è vero che in Iraq operano oggi degli operativi di Al Qaeda, ma non sono loro dietro gli attacchi. Quel che voglio dire, insomma, è che i due piani vanno tenuti separati. Che un conto è lo stillicidio di agguati nel triangolo sunnita e ora nel sud del Paese. Un conto sono le stragi di Istanbul".

Nelle parole di Pope, nel quadro minaccioso riassunto nella parola in cui oggi il Dipartimento declina la strategia del Terrore ? Jihadismo ? resta comunque l'enigma Osama Bin Laden. Che è poi lì dove tutto è cominciato e mai finito. "Non direi che quest'uomo è dietro tutti gli attacchi firmati e attribuiti ad Al Qaeda", osserva il numero due dell'Antiterrorismo. Ma non c'è alcun dubbio che resti lui "the big fish", il pesce grosso, alla cui cattura continuano ad essere devolute buona parte delle energie dell'intelligence americana. Intelligence il cui livello di confidenza nel poter portare a casa il risultato in tempi brevi sembra crescere. Un funzionario della task force incaricata di mettere insieme le informazioni sul numero uno di Al Qaeda sorride: "È vivo. Ragionevolmente, diciamo che non si è allontanato dall'ultimo luogo in cui lo abbiamo perso. E diciamo pure genericamente la zona tra Pakistan e Afghanistan. Di una cosa però si può star certi. Lo prenderemo. Una mattina, il mondo accenderà la radio e la notizia sarà: "Catturato Osama Bin Laden".

Quando questo accadrà, nessuno può scommettere, e dunque il problema è che, nel frattempo, l'Europa, la Coalizione dei volenterosi o, più semplicemente, degli alleati si attrezzi a pagare un prezzo di sangue. È una preoccupazione che al Dipartimento di Stato si tocca con mano. Che fa dire a una fonte vicina al segretario di Stato "che è venuto il momento che la politica, i rapporti transatlantici tra Stati Uniti ed Europa conoscano una nuova stagione di dialogo, di compattezza. Che è poi il senso della missione di Powell in Europa". Forse ? aggiunge la stessa fonte ? anche con la complicità involontaria degli assassini di Istanbul. "Può sembrare cinico dirlo, ma ad Istanbul, tra la strage delle sinagoghe e quella di oggi al consolato inglese, si contano più morti e feriti musulmani che non vittime inglesi o ebree. Qualcosa vorrà pur significare. Ci aspettiamo che il dolore di oggi si trasformi in un motivo in più per combattere domani. Un domani che però sarà lungo. Molto lungo. Lo stiamo dicendo dall'11 settembre".

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