Da La Stampa del 08/10/2003

Lo sguardo sull'Europa

di Boris Biancheri

L’idea avanzata dall’on. Fini a conclusione della Conferenza sulle politiche europee sull’immigrazione, secondo cui in Italia i tempi sarebbero maturi per parlare del diritto di voto agli immigrati nelle elezioni amministrative, sembra aver colto un poco tutti di sorpresa. Positiva, come ci si può aspettare, la prima reazione dei Ds, che anzi ne rivendicano in un certo senso la paternità. Positiva - e anche questo non sorprende - l’accoglienza dell’area cattolica dentro e fuori della maggioranza. Prudente, a prima vista, quella di Forza Italia. Del tutto negativa, la Lega. E’ dunque un’idea che pare destinata a gettare scompiglio nella maggioranza e a trovare consenso piuttosto nell’opposizione. E’ naturale che ci si chieda cosa può aver spinto un politico certo non avventato come il vicepresidente del Consiglio a formularla ora, quando le acque tra i partiti di governo sono ancora agitate da recenti dissensi.

Senza pensare a propositi dirompenti (come invece fa il presidente dei deputati della Lega che insinua addirittura il dubbio che l’on. Fini apra la porta ad elezioni anticipate), val la pena di ricordare la recente posizione di Alleanza Nazionale in favore di pene severe per l’uso di droghe, che sembrava collocare il suo partito su una linea dura in materia di sicurezza di ordine pubblico e che invece la proposta di concedere il voto agli immigrati in qualche modo riequilibra sul lato sociale. Ma è anche possibile che l’on. Fini abbia guardato più all’Europa che agli schieramenti interni. Sul problema del voto ai non cittadini residenti non c’è omogeneità nelle legislazioni dei Paesi europei. In Francia e in Germania il voto è concesso ai cittadini dei Paesi dell’Unione e se ne progetta l’estensione agli extracomunitari; in molti Paesi come la Danimarca, l’Olanda, la Finlandia, la Spagna, la Svezia è già in atto. Senza dubbio il voto, quanto meno amministrativo, costituisce l’applicazione di un principio che è alla base di ogni ordinamento democratico e che si riassume nella formula «nessuna tassazione senza rappresentanza»: il diritto di voto è cioè il corrispettivo del dovere di pagare le tasse.

Vero è che la Costituzione italiana, all’art. 48, limita il voto ai soli cittadini. Ma è vero anche che adeguare la Costituzione a un principio che ha ovvie radici di equità è un’operazione che non fa certo torto a chi la propone soprattutto se ci si colloca nell’ottica di una tendenza alla convergenza delle legislazioni europee. Un anno di assidua partecipazione dell’on. Fini ai lavori della Convenzione sulla Costituzione europea non è passato senza lasciare traccia.

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