Da Il Messaggero del 19/10/2003

Ritorna la voce del male

di Marcella Emiliani

Rieccolo "mister terrorismo globale", a lanciare nuovamente le sue minacce contro i "crociati" americani e i loro alleati nella guerra all'Iraq, Italia compresa. Non dispone più di telecamere Osama Bin Laden, ma riesce comunque a far pervenire nastri audio registrati all'emittente del Qatar Al Jazeera che poi si incarica di renderli noti al mondo intero. ieri sera anche noi italiani abbiamo saputo di essere nel mirino dei suoi attentati suicidi, in compagnia di americani, inglesi, spagnoli, australiani, polacchi e giapponesi. Quello che Bin Laden vuole è lanciare l’ennesima jihad contro “la politica di oppressione e gli atti insensati” degli Stati Uniti e di quanti ne sostengano l’operato, ma il dubbio è che intenda mettere il proprio cappello alla resistenza irachena per trasformarla in nuovo carburante della sua crociata tutta personale. Perché abbia scelto proprio questo momento per rifarsi vivo non è complicato da capire: pochi giorni fa il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha votato la risoluzione n. 1511 con cui ha in pratica legittimato la presenza americana in Iraq e la presenza in armi di qualsiasi Paese intenda dare una mano agli americani a riportare il Paese alla normalità. Con la medesima risoluzione è stato restituito all’Onu anche quel ruolo di mediazione internazionale di cui la guerra preventiva di Usa e Gran Bretagna l’aveva privato: sebbene il comando militare sul terreno rimanga di fatto agli Stati Uniti, formalmente tutti agiranno sotto l’egida del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. Infine la risoluzione stessa è stata votata anche dalla Siria, cioè dal Paese che assieme all’Iran viene ancora indicato dagli Usa e da Israele come un santuario del terrorismo islamista.

Provando a ragionare come Bin Laden, la risoluzione n. 1511 deve essergli suonata come una sconfitta personale visto che spezza l’isolamento internazionale di Bush junior e arriva addirittura a garantirgli luce verde da un Paese campione dell’arabità come la Siria. Esattamente come Bush, che ancora ieri dalle Filippine ribadiva il proprio impegno alla guerra globale contro il terrorismo, pure Bin Laden sa che quella in corso è anche una guerra mediatica e dunque è riapparso nel momento politico più opportuno, per rovinare la festa agli Stati Uniti dal voto favorevole all’Onu e far ripiombare l’Occidente tutto nell’incubo degli attentati. Per far questo deve qualificarsi innanzitutto come il burattinaio della resistenza irachena contro i soldati americani, ma per quanto non sia da escludere che qualcuno dei suoi forsennati seguaci sia riuscito a infiltrarsi in Iraq nello stesso Iraq sia sunniti che sciiti non vogliono perdere la regia della loro guerriglia contro quello che chiamano “l’occupante” e fino ad oggi infatti la presenza nel Paese di Al Qaeda non è stata accertata con sicurezza. Se si deve evocare un fantasma a Bagdad non è quello di Bin Laden, ma semmai, più realisticamente, quello di Saddam Hussein, per lo meno per quanto riguarda il triangolo sunnita.

Il messaggio di Bin Laden infine arriva dopo l’attentato che a Gaza ha colpito una missione umanitaria americana e che per la prima volta non è stato rivendicato dagli islamisti locali di Hamas e della Jihad ma nemmeno dalle organizzazioni terroristiche laiche come le Brigate Al Aqsa o il Fronte democratico di liberazione della Palestina. Tutti anzi ci hanno tenuto a prendere le distanze dell’accaduto perché, perlomeno in Palestina, nessuno ha interesse a tirarsi addosso le ire degli americani: perfino gli islamisti locali ripetono che la loro è una guerra contro l’occupazione israeliana e che oltre non vogliono andare. Dell’attentato dunque non si conoscono gli autori, ma il fatto stesso che si sia verificato, giova alla fama negativa di Bin Laden, ingigantisce la sua statura di unico, grande antagonista degli Stati Uniti a livello mondiale che è l’immagine di sé che vuole trasmettere.

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